L’Osteria di Monteverde

(visita di riferimento: 08/01/2022)

E insomma, a Roma si mangia bene?

Eh, dipende.

Si mangia male?

Eh, dipende.

Però qualche certezza teniamocela stretta: con un po’ di cura nella ricerca, a Roma si può mangiare bene -e stare bene, che è un pezzo dei motivi per cui si rimane contenti dell’esperienza-. Spesso, poi, cercare nel proprio quartiere permette di scoprire realtà per loro natura “locali” e poco strillate, talvolta nuove e altre volte consolidate e… ok, basta, torniamo a cose personali.

Venire a provare la cucina e le idee di Roberto Campitelli significa predisporsi a provare un salto che dalla tradizione porta un pezzetto più avanti, dove succede che ti sorprendi, ti emozioni, provi a vedere com’è il mondo a un passo da te ma nella direzione che magari non avevi ancora preso.

Poi mica è detto che la deviazione di strada ti piaccia per forza, ché in queste pagine non garantiamo felicità assoluta e perenne -non ci riesce nessuno, figuriamoci noi-, ma l’accostamento più azzardato ti farà venire voglia, se sei almeno un curioso con la schwa, di provare in ogni caso il secondo boccone, per capire meglio.

Qui non si prende a pretesto la cucina “de ‘na vòrta” per girarle intorno, ed è questa una delle parti che mi piacciono di più: il piatto resta frontale, la porzione è quella sana, il sapore ti si presenta senza bussare, l’estetica è solo il saluto di arrivo. I giochi di contrasto esistono, ma forse più spesso Roberto si diverte con le assonanze, lasciando magari i contrappunti a qualche consistenza o temperatura.

Insomma, stare qui con loro è un po’ una festa del mangiare (ma si beve bene, anche, e lo sfuso è molto piacevole): i primi che comprendono sempre un paio di classicissimi per gli amici che non vogliono osare, il quinto quarto in diverse connotazioni, il pesce che va dal crudo a cotture meravigliosamente perfette passando per il pescato del giorno, verdure che fanno compagnia ai piatti non rimanendo mai nel ruolo del contorno, carni “de còre”, antipasti e dolci che, imitando i vegetali, non si accontentano di essere i “prima” e “dopo” del pasto, ma stanno alla pari col resto.

Il menu riesce ad essere non letteralmente corto, ma chiarisce che in cucina ci si diverte sul serio e tiene anche a specificare tra le righe: ok a qualche rassicurante carboidrato, ma un po’ di voglia di spingersi oltre serve.

Forse la prima volta, per i più timorosi, si tratterà di uscire un metro fuori dalle consuetudini, ma capitateci di nuovo e via via magari scoprirete che la comfort zone non la decidono i perimetri ma le emozioni.

Il conto ha perfettamente senso, centratissimo in sé e con un rapporto q/p che ti fa andar via sorridendo ed è tra le cose che ti fanno anche tornare.

Ah, puoi ritrovarti il cervello tra i dolci, ma ho due buone notizie:
– è gustoso, gradevolissimo e non fuori posto
– non è il tuo (l’avevo scritta ambigua, ho dovuto chiarire)

Ecco i dettagli qui.

Un pensiero su “L’Osteria di Monteverde

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