Bottega Tredici: parentesi magica in pieno centro

Il 4 gennaio prendeva una piega cupa, mentre un po’ alla volta, visitando la mostra di Klimt qui a Roma (“Klimt. La Secessione e l’Italia“), mi rendevo conto che forse ero partita con un tantinello di aspettative di troppo.

I sottotitoli sono la più grande fregatura delle mostre. Ti fermi al nome che fa notizia e che nel caso specifico adori, e trascuri quel che segue e che in realtà svela cosa principalmente troverai.

La fregatura delle fregature poi è trovarsi in una mostra molto bella e molto ben allestita e non goderne appieno perché ci si aspettava altro.

Tant’è, io e la sorellina abbiamo concluso la visita in SOLE tre ore, con la nostra consueta propensione all’esperienza immersiva.

Ma dicevo, il 4 gennaio prendeva una piega cupa. A riportare la luce ci ha pensato un piccolo luogo incantato, che si fa chiamare “Bottega Tredici” e si trova in via dei Falegnami. La prima magia è nel fatto che, pur trovandosi a due passi dalla trafficata via Arenula e all’ingresso del Ghetto, sia in un punto sorprendentemente silenzioso e di pochissimo passaggio e passeggio. Una spiegazione razionale c’è: chi è a via Arenula vuol dirigersi a Campo de’ Fiori o allungarsi verso Largo Argentina e poi al Pantheon, mentre chi è diretto al Ghetto prende molto più probabilmente via di Santa Maria del Pianto. Sia come sia, quando ti siedi ed entri nell’atmosfera del posto, capisci di trovarti al binario 9 e 3/4 del centro di Roma.

Chiediamo di sederci fuori e prontamente il ragazzo che da quel momento ci servirà accende per noi la stufa a fungo. Ecco, il ragazzo in questione è giovanissimo, professionale ma mai affettato, gentile di una gentilezza elegante e naturale, sicuramente sempre sorridente anche con tanto di mascherina.

Sguardo di intesa con sorella: mille punti il posto, mille punti il cameriere… ci abbiamo preso alla grande.

Nella sua incommensurabilmente giovane ed elegante professionalità, il nostro si informa sin da subito di eventuali intolleranze o allergie, e poco dopo ci offre due meravigliose entrée cucite su misura per ognuna di noi.

Seguono le nostre scelte: due antipasti e due secondi, tutto delizioso.

Menzione d’onore al rispetto dei carciofi, che per me sono cibo sacro e che loro trattano con semplicità e sapienza insieme, preservandone il sapore in modo commovente.

Come secondi prendiamo ricciola con spuma di finocchi e aspic di insalata di finocchi e arance e anatra (non ricordo il taglio, chiedo venia!) con salsa ai frutti di bosco, salsa al Cointreau e indivia arrostita.

Piatti eleganti e delicati, ottimi accostamenti e cotture superbe.

Il menu è tutto interessante e assolutamente non pensato per i turisti che, lungi dall’essere dei mostri bicefali o creature in altro modo oscene, pur non volendo però portano spesso i ristoratori della zona a proporre quel che si ritiene che loro si aspettino. Sembra uno scioglilingua tipo la palla di pelle di pollo fatta da Apelle figlio di Apollo, avete ragione.

Ma non è così al binario 9 e 3/4: non scioglilingua, solo formule magiche.

DOC Cruderia EnoBistrot

(ultima visita: 13/2/2022)

Domenica a passeggiare, Porta Portese si avvia a chiusura e in zona c’è un movimento tutto sommato allegro e piacevolmente confuso. Fermarsi in zona a mangiare presenta qualche insidia, ma anche diversi posti che il tempo ha consolidato per qualità. Ne proviamo uno a noi ignoto. Questo.

Non si può dire che, guardandosi intorno, l’apparenza di quei cinquanta metri di strada lo valorizzi, ma questo locale fa il possibile per uscirne e proporre un angolino differente. Insomma, basta vincere gli esogeni indugi e le cose belle succedono. Vale pure per un sacco di altre cose, no?

All’esterno si sono organizzati per garantire un po’ di coperti e meno rumore possibile dal vicino semaforo. Il risultato è solo un minimo di rumore al passaggio del tram; siccome quest’ultimo suono è per me un sottofondo piacevole (a volumi da sottofondo, come qui) siamo di fronte a un pregio. Per voi persone più sane di mente sarà comunque una cosa di nessun disturbo.

Il menu sta in due pagine scritte in grande: carne cruda, pinsa, due insalatone, bruschette e taglieri. Offerta secondo me corretta e in armonia con un posto di dimensioni contenute. Carta dei vini senza sussulti ma pure senza banalità. Quattro vini al calice. Va bene così, poi con la confidenza romperemo le scatole su qualche scelta divertente in più, ma sono aperti da cinque mesi e la cosa va vista e capita nel tempo anche da dentro, oltre che a chiacchiere da qui.

C’è attenzione e cura per le materie prime e i condimenti. La carne viene dalla macelleria Feroci, l’olio utilizzato è un Sabina DOP e mi pare ci fosse anche un siciliano.

I “cubotti” di filetto hanno sapore e consistenza molto piacevolmente “raw” in parecchi sensi. Con sale, olio e pepe tutti a parte si direziona il piatto secondo gusti, ma il carattere c’è già così a nudo. La pinsa mantiene la croccantezza in superificie ma al morso le 72 ore di lievitazione (non) si fanno sentire, con una digeribilità che certifico scrivendo a quattro ore da lei come se non l’avessi mangiata, bei ricordi a parte.

Quando anche due verdure per una “variazione di insalata” richiesta sono presentate e condite in modo non superficiale ti senti contento e ti senti in un posto che forse un po’ ti somiglia, e in fondo spesso questa è una delle sensazioni belle per cui stai bene in un ristorante, mangiando cose “non di casa” e “fuori” ma avendo a che fare con persone e modi in cui in qualche modo ti riconosci.

Tiramisù tra i più puliti mai mangiati, finalmente con poco zucchero.

Conto del tutto in linea con la qualità. Bravi e buona fortuna!

Ah, già: eccoli qui.