Erbacce Lab – Bracciano (RM)

Bracciano è un borgo di quelli a cui si addice il classico “da visitare”, con vicoli, scalette, piccoli negozi e una vista sul lago che lascia ricordi nitidi perfino rinunciando ai selfie. A camminare, si sa, viene fame, ma capita pure gente come noi che viene qui apposta per mangiare in un posto da conoscere e quindi, già che c’è, cammina pure.

Nel centro del centro c’è una piccola bottega, vista da fuori, che dentro è un’esperienza di cibo e incontri. Ci viene spontaneo come certe erbacce dire che Sara -a cucinare- e Giovanna -ai tavoli- sono uno dei motivi per cui venire qui.

Si entra. Il locale è piccolo ma accoglie perché è stato evidentemente concepito per farlo: i pochissimi tavoli vanno in profondità per una striscia di qualche metro sulla sinistra, un bancone con sgabelli li separa -intenzionalmente poco- dalla parte destra, che è tutta cucina. Non è soltanto ascoltare i suoni del lavoro di preparazione, ma anche poter chiacchierare con la cuoca (“non sono chef, faccio la cuoca”) dei piatti, dell’idea che c’è dietro, di quel che nasce sul momento discutendone magari di qua con Giovanna che estende a Sara quando l’argomento si fa coinvolgente.

Entrambe sanno essere discrete col tavolo che in qualche modo suggerisce di farlo, ma il loro entusiasmo non va confuso semplicemente coi casi in cui si scrivono nelle recensioni cose come “servizio informale”: è qualcosa di intrinsecamente diverso, è d’anima, c’è il gusto di scambiarsi impressioni e parole perché una giornata “necessariamente” a contatto con gli altri passata così è più piena e ricca. Allora ecco che ci si trova a parlare di ingredienti, sapori, esperienze, cotture, assaggi non per far convivio tecnico (ambito in cui peraltro lo scrivente non sarebbe all’altezza) ma per amore di terra, lavoro e gusto, per godersi la bellezza di un momento condiviso che riguarda il mangiare e bere.

Direi che i piatti in dettaglio non ve li raccontiamo. Il menù è corto e variabile, la filosofia e gli intenti che stanno alla base di questo posto prima ancora delle fondamenta del suo palazzo sono cura per una materia prima cercata con determinazione ma non obbligata dalla ricetta ad essere questo o quello. Le erbacce nel nome sono… erbe, spontanee, selvatiche, dall’orto, trovate da un produttore vicino, scoperte da poco, trasformate attraverso il loro utilizzo per farne ripieni, contorni, abbinamenti, salse e quant’altro la loro sostanza inviti a creare.

I risultati sono splendidi. Nelle preparazioni c’è sicuramente attenzione e tecnica, nonché un gusto estetico su forme, colori e abbinamento materiale col piatto di servizio, ma nessuna delle diverse portate arrivate al tavolo da quattro ha avuto con sé una qualche pur minima prosopopea, solennità, velleità formale nella presentazione a voce o nell’impiattamento. È, questo, un equilibrio parecchio delicato, perché la rispondenza tra le intenzioni di cucina e di proposta e la resa in tavola è fatta di mille fattori e qui succede soltanto che la passione per un mestiere non semplice finisce dritta sul piatto, condivisa senza aggiungere, senza condimenti o parole ridondanti.

Le carni sono di allevamenti vicini, così vicini che si conosce bene non solo il produttore ma pure l’animale diventato cibo. È una catena in cui ogni anello viene rispettato il più possibile.

Durante il pranzo può capitare di scorgere Sara che, dalla cucina, lavorando cerca di captare sensazioni e commenti ai piatti. Se c’è modo e tempo è lei stessa a fare quattro passi (numericamente forse dieci) per venire al tavolo a chiedere opinioni e confrontarsi coi clienti. Personalmente l’ho ascoltata a confrontarsi con grande umiltà ed empatia anche con un cliente della categoria “questo piatto è un po’ strano perché a me piace come l’ho mangiato a <segue luogo esotico a sufficienza da evocare verità assolute>”. Questi sono gli stress test che mi fanno riconoscere le persone di valore, attraverso lo stile con cui sanno stare al mondo.

Giovanna racconta con sorridente rigore i piatti e il motivo per cui son fatti come son fatti. La scelta del vino con lei è un altro momento divertente, a dimostrare che la professionalità e la competenza non devono essere per forza roba pesante e che con le cose belle è bello giocare.

Si va via contenti e con la voglia di tornare presto, si spende una cifra giustissima per quel che si mangia e per come lo si mangia. Il vino ha ricarichi sensati.

Un plus per chi capiti di passaggio e magari senza il tempo o la voglia di sedersi al tavolo: vari piatti vengono anche offerti a portar via, e se siete in zona non c’è nessuna ragione per cui possiate perdervi per esempio la focaccia alle erbe. Proprio nessuna.

Bravissime loro. Voi invece datece retta!

Ah, giusto: stanno qui.

Fosco bistrot

(ultima visita: luglio 2022)

Le Langhe sono un’area in cui il modo di porsi non è asservito al turismo (tranne due o tre casi di cui non staremo a parlarvi qui, in un blog che dedichiamo alle cose belle). Ci sono accoglienza, disponibilità e una simpatia sobrie, con una misura anche nei toni che a noi è parsa innata. In cinque giorni abbiamo girato un tot e questo posto ci è piaciuto moltissimo, ma ecco che andiamo a spiegare.

Il territorio, lo sapete sicuramente in tanti, non è vastissimo, quindi il posto è certamente raggiungibile a partire da qualunque paese della zona, ma diciamo che siamo nelle vicinanze di Grinzane Cavour e Diano d’Alba. Il bistrot è lungo una strada grande che di suo non invoglia a cercare proprio lì meraviglie, né di suo ispira a ipotizzare l’arrivo di improvvise chicche.

E invece.

Da fuori sono ancora una volta la sobrietà e un’eleganza non ostentata a presentare il locale, estensione culinaria della cantina Salvano. Le grandi vetrate introducono già verso le due sale, ampie, ospitali, dagli alti soffitti, forse un po’ algide per qualche scelta architettonica o di arredo. Poco male, perché il servizio è attento, sorridente e “umano”, pur mantenendo al primo posto uno stile pulitissimo, asciutto.

Ho optato per la scelta più utile secondo me a conoscerli estensivamente, cioè il menù degustazione della tradizione:

Carne cruda di Fassona

Vitello tonnato

Plin della tradizione al tovagliolo

Guancia di vitello al Barolo

Bonet

Con percorso vini incluso: 48 €

I calici del percorso vini erano ovviamente della casa, che per un bistrot emanazione di una cantina è quel che va fatto, e la cosa è andata benissimo, “naturalmente” con scelte indovinate.

Durante il pranzo siamo stati seguiti con cortesia e cura ma senza appesantimenti. E’ stato piacevole scambiare qualche parola in più col titolare sui vini, sul turismo e l’attualità del territorio. Anche qui si è vissuta la conferma che una parte importante di valore vero del viaggio è interagire con persone e professionisti, sentire come vivono, sentire qui relazioni col cliente (e magari anche tra loro, non siamo in grado d dirlo) vissute in un modo che qualcuno meno a nord potrebbe trovare freddino, ma che a noi è parso semplicemente il frutto di storie anche molto lunghe differenti, così come in tutta Italia si sperimentano differenze su tanti aspetti dello stare al mondo con gli altri.

I piatti: davvero buonissimi, tutti, e direi il miglior vitello tonnato tra tutti quelli assaggiati (non pochissimi e tutti perlomeno buoni) in cinque giorni. Il rapporto qualità/prezzo, sempre a confronto con quel che abbiamo provato lungo il periodo in zona, è alto, tenuto anche conto che qui qualità significa anche un ambiente studiato, cercato in parecchi particolari. Chiaramente alla carta si spende di più, ma scegliendo i menu degustazione si spende benissimo rispetto alla soddisfazione con cui si sta e con cui si va via ripensando all’esperienza.

Datece retta, sicuramente.

Trovate Fosco Bistrot qui.

Poderi Colla

Andar per cantine è diventato nel tempo un modo come altri (ma anche un modo diverso da altri) per organizzare una vacanza, o magari un weekend. Per certi versi funziona come altri interessi: ad esempio il tour di chiese e monumenti puoi farlo da esperto, perché ti scegli i luoghi in cui approfondire un quadro, un mosaico, una scuola pittorica di cui già ti intendi assai; puoi farlo però anche da principiante, curioso intanto delle principali bellezze da vedere, o da appassionato che magari qualcosa ne sa e allora va a pescare apposta la pieve appartata fuori dal circuito classico.

Ecco: col vino la cosa non è molto differente.

Percorrere le Langhe in macchina o moto significa comprendere entro i primi 3 km che le cantine da visitare non vanno cercate con pazienza in qualche anfratto, ma solo scelte. C’è una tale densità di produttori che davvero senza saperne granché viene abbastanza voglia di andare a caso (si intenda qui l’uso di “a caso” per indicare la quantità; sia chiaro che lo scrivente è pesantone a sufficienza da rifiutare con adegno tali esecrabili condotte!).

Qualche nome lo avevamo già, preparati al viaggio con la lista in tasca: poi la lievità con cui un viaggio riesce probabilmente più felice ha sparigliato le carte, ma un nome è rimasto, suggerito da chi, per altro mestiere, ha a che fare con la natura di quella cantina e di molti altri luoghi che interagiscono con l’ecosistema circostante.

Poderi Colla è una casa vinicola con una bella storia che, se ci andrete, sarà bello ascoltare li.

Arrivarci è stato una parte della suggestione anche emotiva legata alla visita; per questioni di tappe già fatte ci siamo trovati a raggiungere la cantina passando per ciò che il navigatore reputava essere semplicemente la strada più veloce, ma che poi si è rivelato, parlandone all’arrivo in cantina, come il famigerato “orrido di Canta”: dalla strada principale si imbocca un vialetto ripido e dall’apparenza subito insidioso, ma anche ingannevole nelle fattezze, così normalmente asfaltato da farti dire che beh, c’è questo inizio un po’ così ma poi vedrECCO, NO. La strada si mantiene stretta scendendo giù giù con la sfrontatezza di chi non guarda in faccia nessuno, un tornante dietro l’altro in assenza di qualunque protezione laterale verso il suggestivo, poetico, langarolo STRAPIOMBO LETALE, con te a chiederti a che servano tutte quelle marce sul cambio e pregare il dio delle vigne che non venga su nel frattempo non dico un furgoncino, che eventualmente certificherebbe ivi le esatte coordinate geografiche dell’Armageddon, ma anche solo una Panda, una Vespa, una bici, una lucertola cicciottella da proteggere, un filo d’erba cresciuto in diagonale.

Sei lì a dirti quanto sia bella la vista per distrarti da tutto ciò quando… sì, anche questa esperienza, come tutte, termina; ti ritrovi sulla normalissima stradina che fanno le persone assennate, ne percorri una piccola parte, giri su un ponticello e ti arrampichi su uno sterrato che pure sarebbe con curve proiettate sul vuoto, ma per te che hai appena fatto l’orrido di Canta sembra la variante di valico alle 14.30 di mercoledì 7 ottobre, perciò sali con l’incoscienza dei tuoi vent’anni a dispetto degli ulteriori sette che hai sul groppone da qualche minuto avendoli persi, ai margini del tuo esistere, lungo l’orrido di Canta.

Ah, già. La cantina.

Per voi sarà un’esperienza ancora più bella, perché il giro in vigna noi abbiamo dovuto evitarlo per il caldo clamoroso. Ci siamo perciò seduti subito ad un lungo bellissimo tavolo che ci ha salvato immediatamente il pomeriggio poiché si trova tra due portoncini che erano entrambi aperti, a costituire l’unico esempio di ventilazione naturale del giorno nel raggio di decine di chilometri.

Gli assaggi e in generale il tipo di degustazione vengono decisi assieme a Federica Colla, la figlia di Beppe, vignaiolo e persona che nella storia dei vini di Langa ha fatto veramente molto. Lo spirito positivo, sorridente e determinato di Federica nel suo raccontare territorio e vini accompagna i sorsi meglio di qualunque abbonamento gastronomico ed è, per chi avrà voglia di stare anche al gioco, un punto di vista in più con cui guardare, annusare, assaggiare il bicchiere. Sì sta con lei, le sue parole, i suoi ottimi vini e solo natura intorno, col resto del mondo che in quell’incontro resta materialmente altrove, irraggiungibile anche dal telefono sebbene a pochi minuti da lì.

Ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo, diceva il poeta, ma pure comprare qualche bottiglia scelta tra quelle assaggiate non è per niente male (notevole anche il riesling, tra l’altro). Prezzi giusti e, andando via, la sensazione chiara di portarsi a casa vini puliti, fatti da chi ama la terra e sa chiederle frutti con garbo e rispetto.

E si torna sulla via di quelli con la testa a posto, mica sull’orrido di Canta.

Datece retta!

Enoteca regionale del Piemonte, Acqui Terme (Alessandria)

(ultima visita: agosto 2022)

Per qualcuno non esistono nemmeno, o sono al più una vetrina oltrepassata mentre si è in cerca d’altro, ma capita anche che siano luoghi di acquisto per souvenir graditi assai. Il ruolo istituzionale di promozione e valorizzazione del territorio per la produzione vinicola sarebbe invece la ragione principale per cui le enoteche regionali esistono. A qualche decina di km da qui (o d’Acqui, e giù risate) ne abbiamo visitata un’altra che, diciamo così, ai nostri occhi ha un po’ messo da parte la missione dedicandosi invece semplicemente a titillare i copiosi e corposi portafogli stranieri di passaggio, attività che non ha nulla di illegale ma che in un’enoteca regionale dovrebbe essere la piacevole conseguenza di una spiegazione, di un racconto da portare a chi entra, in generale, senza preventiva verifica empirica del saldo sulla carta di credito.

Vabbè, procediamo. Il blog mica si chiama Evitatelicomelapeste.

brachetto d'Acqui tappo raso, cantina convento cappuccini

Acqui Terme è una cittadina graziosa e curata, di gente che sorride e ti parla con garbo e attenzione. Non succede ovunque e perciò qui si sta bene, o perlomeno la nostra giornata è stata piacevolissima. In pieno centro, tra negozi e persone libere di camminare senza auto, con un minimo di ricerca e due accessi da vie diverse, qualche gradino a scendere porta in un bellissimo posto per chi ami bere bene, con stanze a susseguirsi sotto soffitti a volta, tavoli in legno scuro per le degustazioni, scaffali e luci calde. A far contenti altri turisti (che, ripetiamo, in sé non è affatto un male, anzi) c’è un apparente giovincello che invece, lo scopriremo poco dopo, sempre giovane è ma ha dalla sua parecchia esperienza; li saluta, ci scambia due battute finali sorridendo e nel frattempo ci dà la sua disponibilità, col tono cortese ma attento di chi nel frattempo una prima radiografia all’avventore la fa, per comprendere un po’ chi abbia davanti. Spieghiamo quel che cerchiamo; si avvicina alle varie bottiglie aperte in giornata per altre degustazioni e pensa. Lo fa dedicando diversi secondi ad ogni singola bottiglia da includere o escludere, e apre un paio di nuove bottiglie dei vini scelti quando sente che quelle aperte non lo convincono del tutto.

vino Piemonte albarossa, cantina Franco Ivaldi

Da qui parte un’oretta buona e pure bella di chiacchiere, storia dell’enologia, Piemonte, passione, tecnica, metodologie e quant’altro, con il nostro Alessio Lo Sardo (sì, per quell’oretta tutto nostro. Grazie!) a mettere assieme competenza e capacità comunicativa come poche volte mi è accaduto di vedere nel mondo del vino.

vino slarina avamposti, tenuta il cascinone

Gli acquisti specifici, per quel che vale, sono stati una slarina della Tenuta il Cascinone, un’albarossa di Franco Ivaldi e un brachetto tappo raso della cantina Convento Cappuccini. Quel che invece conta tanto è l’occasione, davvero imperdibile se siete in zona, per attraversare territori, cantine, storie di produttori e prodotti come non riuscireste certamente a fare anche con lunghi giri d’auto molto ben progettati in anticipo e conoscendo ogni singola realtà. In un solo luogo potrete farvi un’idea davvero ricca, articolata e documentata su quel che cercate tra Langhe, Monferrato e tutto il Piemonte… ma anche su quel che non sapevate di cercare, perché qui si può realizzare concretamente una delle esperienze per cui ha valore viaggiare: imparare da zero cose di cui non sai un cavolo, eventualmente con la voglia di dimenticare quel poco che ne sai.

Li trovate qui!

Tram Tram, il bello delle osterie (e delle persone)

(ultima visita: gennaio 2022)

A Roma San Lorenzo è un quartiere che, per un motivo o l’altro, conoscono direi tutti. Anche quelli che romani non sono e vengono qui per studiare. C’è, quindi, offerta varia e talvolta eventuale per i gggiovani, ma parecchi sanno che c’è pure, da tempo, un riferimento costante che mette assieme un desiderio diventato fortunatamente un po’ trendy in questa città: mangiare e bere con qualità e “de còre”.

Lungo la via su cui sferragliano mezzi pubblici, dei quali a questo punto non dovrebbe sfuggirvi il nome, questo posto fa venir voglia di entrare già da fuori perché è come è, diretto, frontale, lontano dalla necessità di esser di moda o dal rischio di esserne fuori, e se non lo conosci ti fa comunque sperare che, dentro, le cose vadano come sembra dall’esterno.

Ed è così.

Mamma e figlie sono impegnate, da quando hanno rilevato il locale (l’età a tre signore non si chiede, ma il millennio era il precedente, in tutta onestà), a proporre una cucina e un’atmosfera che sono, in armonia, un discorso chiaro e sorridente verso i clienti, con un menu che viene anche raccontato per quel che c’è o non c’è nel giorno, con la professionalità di chi sa gestire i clienti ma anche con la schiettezza di chi evita preamboli e formalismi. Le due cose possono piacere magari a persone o in contesti diversi, ma non è facile che stiano bene assieme. Qui invece succede.

Come sempre, i dettagli e i tecnicismi ve li stanno dicendo già tanti siti internet superfighi ed enogastrocompetenti, per cui qui procediamo al solito pensando a passare due ore in cui si sta bene, oltre a mangiar bene. Allora alici, purè di fave con la cicoria, baccalà, gnocchi buonissimi (il concetto di gnocchi buonissimi trova, a parere dello scrivente, concretizzazioni che definiremo rare), le puntarelle, l’abbacchio, le polpette, il tortino di alici e indivia. Questi tra i ricordi accumulati nel tempo, durante le non molte visite (come ognun sa, Roma è diverse città; raggiungerne una da una delle altre implica attraversarne altre ancora. Ne segue che certi spostamenti richiedono spesso fasce orarie libere dalle dimensioni importanti).

La mano in cucina è molto chiara, sicura e tanto tanto coerente col resto, e questa cosa è bellissima. Per certi versi è uno dei motivi per cui, sempre per opinione dello scrivente, un pranzo o una cena passano da buoni a belli. Ad accompagnare i piatti ci sono, come dicevo, l’atmosfera e le parole di sala, che non fanno folclore ma sono proprio il mestiere di lavorare bene e costruire bei rapporti coi clienti; non mi stancherò mai di ripetere quanto questa bellezza faccia bene quando si mangia fuori, ma di leggerlo invece magari vi stancate voi, quindi smetto.

Si beve bene, anche. Molto bene, anche, perché i vini sono cercati, prima che ricercati, e nell’ampiezza della proposta hanno pure loro una coerenza col locale: carattere, personalità. Non stanno lì dentro perché qualcosa si deve pur bere, ma perché hanno meritato di entrarci, quelli più semplici e quelli che costano. Scelti, tutti, con cura. Trovate anche vari naturali, ma li trovate non perché sono naturali, ma perché sono buoni.

Si spende quel che subito dopo si troverà giusto aver speso; comunque in linea con la ristorazione romana di questo tipo, ma con qualità meno comune.

E’ un posto in cui viene voglia di tornare già mentre vai via.

Dàtece retta!