Roma integrale – Pizza al centro

ATTENZIONE!!! Puristi della cucina e della ristorazione, questo post per voi è IL DEMONIO… fuggite!

Alcune premesse, necessarie.

La prima: soprattutto a me, che ho vari problemi di tipo alimentare e che al ristorante faccio lo slalom tra una riga e l’altra del menu, con un occhio che al volo individua l’unico antipasto vale-compatibile mentre l’altro già si lancia sui secondi (i primi devo evitarli) e intercetta quello che potrebbe andare una volta chiarito un dubbio col cameriere e contemporaneamente ipotizza un piano B, e poi sommergo di domande il cameriere per, infine, chiedere esasperata delle varianti per uscirne anche stavolta, dicevo, soprattutto a me che ho vari problemi ecc ecc, fa piacere segnalare non solo posti poco conosciuti e che ci hanno colpito particolarmente, ma anche quelli in cui trovare un menu che possa soddisfare esigenze specifiche, anche se non necessariamente rappresentano l’eccellenza.

La seconda: non è vero che il centro di Roma è quel posto che si caratterizza per la sola presenza di trappole per turisti. D’accordo, bisogna scegliere con mooooolta cura e anche essere disposti al compromesso, ve lo concedo, ma se si allentano i paletti e si riducono le pretese ci si può persino sorprendere.

Ci è capitato così di sperimentare, spinti dall’orario e dalla fame, un posto (Origano, Largo dei Chiavari 84) in grado di far contenti i turisti e riservare un’inattesa scoperta per chi come me adora la pizza napoletana ma non può mai mangiarla, perché deve evitare le farine bianche: la pizza napoletana integrale.

Il menù esposto ai passanti con tanto di foto delle pietanze scoraggia, e altrettanto la posizione iperturistica, tra Sant’Andrea della Valle e Campo de’ Fiori, ma questa occasione non potevo perderla. Alla domanda se la pizza fosse del tutto integrale (ti spacciano per integrale qualsiasi prodotto sia integrale al 5%), la ragazza interpellata ha subito precisato che “no, c’è una parte di farina bianca”, per poi informarsi e riferirci che la percentuale di farina bianca era del 25%. Amici, mai vista una cosa del genere in nessuna pizzeria romana.

Incredula, mi sono seduta all’istante, e il mio egli è stato contento di cedere, sapendo della mia inenarrabile felicità.

Consigliabile evitare il prosciutto cotto e scansare un po’ di “mozzarella”, che – come spesso capita a Roma – anche qui è quella entità aliena di solito definita “formaggio per pizza”, ma l’impasto è ottimo e i condimenti generosi.

calzone integrale dentro, margherita fuori, Origano, Roma

pizza integrale ortolana, Origano, Roma

Il servizio, affidato a giovani ragazzi (intendansi comprendenti le ragazze, please), è cordiale, sorridente e attento. E’ un posto in cui – se si ha il giusto spirito – si sta bene, sentendosi simpaticamente turisti nella propria città. A volte anche questo diverte e alleggerisce; la frequentazione è la più varia, ma viva la diversità, i colori, gli accenti, le bizzarrie!

Insomma, anche basta con questo stare sempre imbalsamati con la faccia da intenditori intransigenti frequentando solo i posti blasonati – pena l’indignazione, il disgusto, l’isolamento sociale.

Proviamo qualche volta a prenderci meno sul serio, se no si diventa pesanti e – molto peggio! – si rischia di non trovare mai e poi mai una cavolo di pizza napoletana integrale.

Sinosteria

(ultima visita: Febbraio 2022)

A Roma ristorante cinese significa perlopiù quel che significa nel resto d’Italia -solita lista di piatti al solito basso prezzo fatti nel solito modo-, sicché aumentano, col crescere della qualità che si cerca volendo mangiar fuori, le chiacchierate tra appassionati su dove mangiare cinese MA buono, che detta così suona un po’ cattiva ma che tra romani si capisce, è quel tono un po’ sbruffone che… non andrei oltre circa la romanità e concluderei con “ce lo meritiamo, Alberto Sordi”.

involtini primavera

maiale con verdure piccante

Il bello arriva quando qualche nome nella classifica dei “più qualcosa” esce fuori (il dibattito che ne segue è, come sempre, articolato a piacere), e tra questi, ormai da un po’ di tempo, c’è Sinosteria, posto di qualità condotto dalla famiglia di Jun Ge e che fino a qualche anno fa si chiamava Asian Inn, a testimoniare già da questo cambio una visione di cucina e di “stare dove si è”, con la volontà e l’energia per dare direzioni nuove.

vino siciliano catarratto

Anche stavolta arriviamo a scriverne tutt’altro che per primi, quindi il grosso dei dettagli classici lo trovate già ovunque. Passiamo perciò oltre; è un posto in cui si sta bene perché il livello di confidenza, formalità, conversazione viene sapientemente dosato tavolo per tavolo da Jun che, si vede bene, prende prima le misure del cliente e poi, se si è entrati con curiosità, condivide quel che sa ed è, in proposte, suggerimenti e racconti di sé, concretizzando senza fatiche il senso della parola osteria.

riso bianco

L’amore per l’Abruzzo traspare in diversi momenti da menù, bottiglie in giro per il locale e parole, competenze e storie. C’è stata e direi che ci sarà collaborazione col ristorante Mammaròssa di Avezzano (AQ), altro posto speciale che muove appassionati da diverse città; è divertente e gustoso godersi questi territori condivisi in piatti di tradizione di diverse regioni cinesi che incontrano zafferano di Navelli, aglio rosso di Sulmona, mugnoli di Pettorano sul Gizio e altro.

crema di riso al latte di cocco con pollo zafferano di navelli e zucchine

Questo segnatevelo:

Crema di riso al latte di cocco con pollo, zafferano di Navelli e zucchine

E’ un divertimento ovviamente di gusto ma anche per la possibilità che offre di scambiare passioni ed entusiasmi, perché Jun si è innamorato dell’Abruzzo e te lo dice in mille modi, ricordandoti che fusion non vuol dire per forza che devi sovrapporre un mango e un pezzo di tonno, ma che culture e sorrisi possono incrociarsi per scoprire sorprese.

riso bianco con carne e uova

Abbinare le molte bontà del menù con uno o più vini è cosa che, nelle non molte volte in cui siamo riusciti ad andare, ho affidato al nostro eroe, con risultati sempre interessanti. E’ l’ulteriore divertimento, perché tra carta dei vini e proposte del giorno al calice siamo ad alti livelli non solo per quantità e qualità della proposta, ma anche per la possibilità di azzardare, sconfinare, bere a prescindere dalle mode, dalle diatribe naturale/convenzionale, da quel tipo di esperti che si prende troppo sul serio e non sa giocare.

vino primitivo puglia

Anche qui non vi diciamo nomi, cantine, uve: qualche foto c’è; per il resto troverete tanto, sarà tutto di valore e potrete rincorrere le accoppiate giuste chiacchierandone. Non succede spesso.

orecchie di maiale

Qui è dove vi chiarisco perché “ristorante cinese” sia una definizione restrittiva per Sinosteria:

Fuori menù, quella sera, c’era la trippa.
L’ho chiesta.
Sono tornati al tavolo. Era finita.
C’erano le orecchie di maiale.

Prese.

Insomma: atmosfera rilassata, genitori tra sala e cucina, figlio in giro per il locale a fondere culture, gente che mangia sorridendo, bocca pulita alla fine, con la voglia di tornare presto e di consigliare Sinosteria al successivo dibattito social o live di cui sopra, perché senti che sei stato proprio bene, che hai assaggiato o ascoltato qualcosa che non conoscevi. Mangiare fuori, per davvero.

vino rosso toscano miscelone

Prezzi giustissimi, zona magari non proprio top per passeggiata pre e post o per parcheggiare, ma ben servita dai mezzi pubblici. NON FATE QUELLA FACCIA; mi ha detto mio cugggino che una volta è andato al ristorante coi mezzi pubblici e non è morto.

Dàtece retta, sicuramente, ma qui tanto ve lo dice tutta Roma!

Scoprire San Francesco a Ripa

Il bello è più bello se non te lo aspetti.

Non abito lontano da lì e – voglio dire – girare per Roma giriamo, eppure non l’avevo mai notata. A mia discolpa, Vostro Onore, preciso che la chiesa in questione è un po’ defilata; d’altra parte chi conosce i francescani sa che non amano dare troppo nell’occhio, operano con umiltà, senza ostentare.

Tant’è, è stato inoltrandoci nella zona ad est di Viale Trastevere, più o meno all’altezza del Ministero dell’Istruzione, che ho scoperto l’esistenza della chiesa di San Francesco a Ripa.

Anche una volta che ce l’hai davanti pensi ad una chiesa modesta che, con tutte le ricchezze di cui le chiese di Roma traboccano, è tra quelle che possono essere saltate. La facciata, di un barocco inaspettatamente lineare ed essenziale, conferma questa prima impressione.

Eppure Pier sapeva – non chiedetemi perché – che mi sarebbe piaciuta.

L’abbiamo visitata ben prima che nascesse il nostro amato blog, sicché vi parlo più di sensazioni che di ricordi precisi e ben fissati nella mente. Tuttavia, siccome noi qui vogliamo condividere con voi il bello e il buono che sperimentiamo, perché magari vi venga voglia di sperimentarlo a vostra volta, questo posto non posso non citarlo.

Subito ad accoglierci, nella prima cappella a sinistra, una non molto nota (credo) “Nascita della Vergine” di Simon Vouet, caravaggista che di Caravaggio conserva qui la forza dei contrasti, la semplicità delle figure e la quotidianità della scena (il rimando al Maestro è anche nella presenza della figura di spalle, che c’ha da fa’, mica può preoccuparsi delle buone maniere).

Tuttavia Vouet ha il coraggio di non scimmiottare Caravaggio e opta per un ingentilimento dei movimenti, degli sguardi e della composizione, la cui circolarità, data dalla disposizione delle figure (tutte protettivamente curve verso Sant’Anna) e dalla direzione dei gesti, dà una poco caravaggesca “morbidezza” all’insieme.

Proseguendo lungo la navata sinistra, nascosto in una stretta e nascosta cappella, del tutto inatteso incontrate il gioiello della chiesa: l’“Estasi della Beata Ludovica Albertoni” del Bernini.

Evidente il rimando all’Estasi di Santa Teresa D’Avila, sempre di Bernini, ma di un Bernini di più di 25 anni più giovane e collocata nella ben più centrale chiesa di Santa Maria della Vittoria.

Lo scenario in cui è “esposta” Santa Teresa è molto più ampio e sontuoso, nonché teatrale, coi committenti scolpiti in logge laterali a commentare si direbbe con gusto e fare quasi voyeuristico.

La Beata Ludovica Albertoni è invece posta in uno spazio molto più “angusto” e privato, decisamente distante dall’osservatore; tuttavia, con un gioco prospettico delle pareti, che dall’ingresso della cappella fino alla scultura vanno a stringersi, Bernini fa sì che lo sguardo sia catalizzato dalla scultura come se fosse a due passi da noi.

Le gambe piegate, o meglio raccolte in modo scomposto e attraversate dal meraviglioso drappeggio della veste, la posizione delle mani, lo sguardo, gli occhi semichiusi, la bocca leggermente aperta difficilmente ci farebbero pensare al momento del trapasso, se non ci fossero i cherubini sospesi su di lei ad attenderla.

Con gli occhi e il cuore già grati di tanta bellezza, per puro caso abbiamo visto un cancelletto – purtroppo chiuso – che immetteva in una stanza spoglia, caratterizzata da pareti con nicchie vuote, geometrie austere a creare uno spazio metafisico, in cui è il vuoto a parlare. Non ci ha stupito – e insieme ci ha meravigliato enormemente – che si trattasse della cappella che custodisce le spoglie di Giorgio De Chirico.

Insomma, perché proprio lì? E’ interessante leggere su siti molto più informati di questo il motivo della loro collocazione in una defilata chiesa trasteverina dedicata a San Francesco.

Che visita stupefacente, pazzesca, abbagliante!

Attenti, amici, vi vedo che a Trastevere ci passate (e pure spesso!) per una carbonara: mi raccomando, San Francesco a Ripa vi aspetta!