Elio e le storie tese – Italyan, Rum Casusu Çikti

Trent’anni. Quelle cose dette così, “trent’anni”, che ti fanno dire cose di una banalità estrema e che quindi non dirò. Trent’anni che è uscito Italyan, Rum Casusu Çikti. Il lasso epocale di tempo che da piccolo misuravo per separare la musica che amavo da Nilla Pizzi mi separa adesso da questa meraviglia che per me è ancora del presente.

Ma dei bias parleremo magari un’altra volta, come pure dei licenziosi avvii di periodo col “ma”.

Conoscevo già Elio e le storie tese, avevo il primo album e li avevo visti live in un teatro tenda di Roma che nemmeno esiste più, ma che per i romani era quello di Renato Zero e per gli italiani quello di Lucio Dalla in Borotalco di Carlo Verdone (“STAI, LUCIO, STAI!” non uscirà mai più dal repertorio comico di chi voglia fare citazioni). I ragazzi erano ovviamente più acerbi, ma che fossero geniali era già evidente, e il seguito di quell’LP di debutto, che era un po’ una raccolta delle prime canzoni fatte negli anni, era atteso da tanti di noi con la curiosità di chi vuol capire se la promessa verrà mantenuta.

L’acquisto in effetti fu immediato all’uscita.

Elio e le storie tese copertina album Italyan, Rum Casusu Çikti

Rocky (il gigantesco Ferruccio Amendola) introduce il coro delle voci bulgare che introduce Servi della gleba, che parte a bomba come fossimo al live di una tribute band dei Toto. Un inizio clamoroso, con dentro il basso a SLAPPARE, coretti scemi, timbri curati e ritornello fichissimo.

Il tutto mi fece subito pensare alla partenza di un mezzo capolavoro.

Che poi non era mezzo.

L’avanspettacolo di Arriva Elio la butta in caciara con l’autopresentazione da teatrino del gruppo, ma si capisce già che, più che alla nuova Alfieri, i nostri vogliono giocare a fare una Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band che la prende a ridere. Infatti arriva Uomini col borsello, e ad accompagnare ci sono nientemeno che i Chieftains, in un crescendo che passa poi per i Pooh, citati dal diretto interessato Riccardo Fogli. I suoni, gli effetti e gli arrangiamenti marcano nel frattempo un notevole salto in avanti rispetto al debutto.

Il vitello dai piedi di balsa è una favola che parte in filastrocca e poi, nel suo drammatizzarsi, comincia a rifinire una delle principali caratteristiche del complessino, in questo suo giocare di contrasti mettendo assieme una forma di sacro e profano che non si accontenta della religione, ma accorpa di tutto col gusto di volerlo fare in modo efficace, che faccia ridere, che funzioni. Ecco che allora, per esempio, tra varie finte zampe arriva la chitarra che cita i Pink Floyd, arriva Enrico Ruggeri che di fatto fa la caricatura di sé, arriva “la pena aggiuntiva” per il vitello mentitore che aprirà un rito ininterrotto, trent’anni di concerti in cui decine di brutte canzoni hanno occupato quei secondi, in uno dei molti momenti che ci ricordano quanto sia stato bello aver avuto in regalo dalla musica Frank Zappa.

Cartoni animati giapponesi diventa, in questa sequenza micidiale, un brano minore suo malgrado, perché quasi qualunque gruppo andrebbe fiero di averlo in repertorio e qui il suo problema è solo l’esser circondato da irresistibili perle, tant’è vero che a seguire, dopo il siparietto di Cinquecento, arriva Supergiovane, capolavoro multistrato tempestato di brillantini che riflette eternità da qualunque lato lo si guardi: testo scoppiettante come la Vespa guidata dal supereroe, una storia epica costruita su minchiate, cambi di atmosfera da suite prog cazzona, un coro gospel per dei botta e risposta velocissimi sul nulla, l’omaggio a Paolo Conte, arrangiamenti fichissimi. Elio e le storie tese fanno sul serio, l’ascolto arriva a questo brano certificando che nella musica italiana è accaduto qualcosa di nuovo che non finirà presto.

Ora: andrebbero snocciolati altri grandi brani che seguono.

Per esempio il grandissimo Pipppero col coro delle voci bulgare (il quale, peraltro, da quel momento avrà in Italia un grande meritato successo a sé offrendo un’esperienza dal vivo eccezionale, come può testimoniare ad esempio lo scrivente). Oppure La vendetta del fantasma formaggino, con Diego Abatantuono che nell’album passa di ruolo da fruttarolo e Dio della barzelletta, tra citazioni d’infanzia e Jesus Christ Superstar.

Siccome però in trent’anni sono uscite tonnellate di recensioni non è che dobbiamo star qui a staccare brani dall’album come piselli dal baccello, quindi chiudo qui questa parte e vado anche un po’ a concludere, così non mi perdete concentrazione: da questo grandioso album in poi è di fatto stata possibile avere a che fare col più grande gruppo italiano dei tre decenni successivi, ma già a volerlo guardare da solo questo disco è tra gli imperdibili della musica italiana.

Pizzeria La Gianicolense, o le sorprese di quartiere

Vicino a noi scriventi, lungo le strade che ci portano a casa o che ci accompagnano altrove da casa, tanta vita scorre proprio come tipica vita da quartiere di tanti quartieri storici italiani: chiunque incontra o conosce realtà più o meno piccole, attività più o meno note (spesso meno) che hanno fama al più nella zona, e che per mille diversi motivi non rientrano nel giro dei famosi, nel canale “giusto” delle mode, nel flusso di chiacchiere delle persone. Magari semplicemente perché non fanno rumore, anche se nascondono persone che amano lavorare bene.

antipasto di salumi e formaggi

Qui nel quartiere romano di Monteverde -per esempio, eh?- succede, sempre secondo noi, in questo posto che è una sorpresa fatta di tante sorprese a frattale, quelle cose che cogli solo avvicinandoti, accorgendoti che un livello ne cela un altro e che da lì, ancora, … ok, basta, ne parlo, VA BENE.

Da fuori c’è sostanzialmente l’immagine di una pizzeria o forse qualcosina in più, con legni scuri e mattoni, l’insegna appunto da quartiere che difficilmente sarà fuori moda o di moda. Bisogna accostarsi un po’ e cominciare con un’occhiata alla lavagna del menù, dove le prime certezze superficiali iniziano a cadere: c’è qualche burrata, la bufala ha accanto il nome dell’azienda che la produce, ci sono le tartare, una è con la giardiniera di Morgan. Indizi così.

pizza romana con stracchin zucchine e prosciutto arrosto

Beh, ma io credevo che… ma vedo che invece, forse… ma allora proviamo!

Locale ampio con una sala a L che abbraccia la zona contenente frigoriferi, cassa, forno per la pizza, cucina, sassofono. Fuori c’è posto per un po’ di tavoli e in quel punto la circonvallazione non soffre di un traffico eccessivo, per cui ci si sta bene.

rigatoni alla carbonara

Il personale è competente, cordiale, simpatico ma con la capacità di capire se il cliente non corrisponda in altrettanta simpatia (se n’è visto qualcuno) e agire di conseguenza assorbendo il disvalore professionalmente. All’arrivo dei menù ecco una sorpresa che, da fuori, non ci si aspetta proprio: la carta di vini e birre, direi più o meno per intero nel perimetro che chiameremo dei prodotti non convenzionali (altrimenti bisogna dire NATURALI e il blog esplode in un tripudio di miccette, per cui tale parola verrà evitata). Urca, ma siamo in un posticino che… sì, mi sa di sì!

fritto vegetale

I titolari, compagni anche di vita, viaggiano tra gli ambienti, coordinano, chiacchierano coi clienti. Lo staff è una bellezza: persone sorridenti che sanno sempre di cosa parlano quando c’è da scambiare due parole sui piatti o sulle bottiglie. Insomma, d’animo si sta proprio bene. La proposta è piuttosto ad ampio spettro e c’è modo per quasi tutti di trovare qualcosa di gradito. Niente nomi di piatti qui, anche perché le variazioni sono frequenti, ma c’è amore per la materia prima di qualità e questo si sente al di là dei “brand” trattati, delle aziende agricole cercate, dei fornitori selezionati; il mercato cambia e cambierà, ma l’approccio è chiaro e lo si apprezza molto anche da clienti perché, a parte la bontà dei piatti quando arrivano, c’è anche modo di parlare e confrontarsi su un ingrediente, un vino, una cottura.

tagliata al tartufo

È divertente anche informarsi su qualche fuori menù, qualcosa arrivato da poco, magari un piatto di “test” per un prodotto nuovo su cui scambiare un parere, o una bottiglia “strana” che magari un cliente dai gusti tranquilli rimanderebbe indietro e che invece diventa divertente assaggiare ascoltando anche le sensazioni di Armando (il titolare di sesso evidentemente maschile) che ne ha assaggiata una il giorno prima.

poke con riso nero pollo e insalata

La sera c’è anche la pizza, che per dirimere sul tema FONDAMENTALE e DIVISIVO classifichiamo tra le romane ma NON tra le CROSTE. E’ cotta, non carbonizzata. E’ sottile, non carasau. Quella provata, un fuori menù del giorno, era con uno stracchino per nulla banale e un prosciutto arrosto. Buonissima.

vino naturale indigeno ancarani trebbiano

Si spende il giustissimo, si esce proprio contenti per come il tempo è passato, per il cibo e per la sensazione abbastanza netta di aver conosciuto persone di qualità pari a quella che cercano di mettere in tavola.

Li trovate qui. Datece retta e diteglielo pure!