Proloco Trastevere – A spasso nel territorio, con amore

Trastevere, luogo bellissimo di Roma e dell’anima che però, a più di qualche romano, fa scappare istantameamente qualche parolina subito dopo l’anima suddetta. Per gli anzianotti diciamo croce e delizia e usciamone così, con delicatezza. In questa continua passeggiata tra piccole e grandi meraviglie tra fiume e Gianicolo si può dire che togliersi la fame in qualche modo e in qualunque ora è semplicissimo. Un po’ più di cura è invece richiesta volendo anche un’esperienza di qualità; ancor di più -ma questa è proprio la vita, mi sa- c’è da cercare se si vogliono anche incontrare persone belle, con cui diventa bello incontrarsi la volta successiva con la scusa di tornare.

Elisabetta Guagliarone è la padrona di casa; dalla cucina esce quando può e ti racconta quel che fa, con la passione di chi tiene al cosa e al come. Il suo compagno Vincenzo Mancino è da tempo un ambasciatore culinario del Lazio per la sua selezione attenta di prodotti e produttori regionali meritevoli del suo “marchio” DOL (Di Origine Laziale), realtà gastronomica nata a Centocelle e, per farvi una prima idea, visitabile qui. Le materie prime, insomma, sono anch’esse questione di casa, gestite con la consapevolezza e la determinazione di voler arrivare fino al piatto lungo un percorso di cui si conoscono partenza e tappe.

Il menu è divertente, è diretto, non si preoccupa di distinguere tra innovazione e tradizione, né di starci in mezzo o di appartenere a uno dei due estremi. E’ semplicemente il risultato del modo in cui si ragiona a monte: gli ingredienti vengono rispettati perché hanno singolarmente da dire qualcosa, sicché a tavola arriva esattamente la logica conseguenza, arricchita da un colore che solo le passioni sanno dare e che qui è amore per il lavoro che si fa.

Forse il modo migliore per conoscere Elisabetta e la sua cucina è il pranzo contadino, in cui gli antipasti di quella domenica diventano i compagni di tavola arrivando tutti assieme, presentati e spiegati.

La caccia all’aggettivo, quando vuoi scrivere di viaggi così belli tra i sapori, è tra gli sport estremi coi risultati più pericolosamente ridicoli. Evitando perciò di intrattenerci in tale pratica, l’invito che vi facciamo è di prendere una mattina e la curiosità, lasciarvi portare da loro verso Trastevere (e verso Roma per chi chiama da fuori Roma), guardare in su e in giro mentre camminerete, stancarvi un po’ perché magari salirete pure sul colle a guardare la città dall’alto, entrare in questo posto accogliente e godervi un’esperienza che lascia un po’ di sazietà e un po’ di fame in arrivo per la volta successiva che vorrete.

Bravissima, Elisabetta. Si sta bene, da te.

Trovare Proloco qui

Scoprire San Francesco a Ripa

Il bello è più bello se non te lo aspetti.

Non abito lontano da lì e – voglio dire – girare per Roma giriamo, eppure non l’avevo mai notata. A mia discolpa, Vostro Onore, preciso che la chiesa in questione è un po’ defilata; d’altra parte chi conosce i francescani sa che non amano dare troppo nell’occhio, operano con umiltà, senza ostentare.

Tant’è, è stato inoltrandoci nella zona ad est di Viale Trastevere, più o meno all’altezza del Ministero dell’Istruzione, che ho scoperto l’esistenza della chiesa di San Francesco a Ripa.

Anche una volta che ce l’hai davanti pensi ad una chiesa modesta che, con tutte le ricchezze di cui le chiese di Roma traboccano, è tra quelle che possono essere saltate. La facciata, di un barocco inaspettatamente lineare ed essenziale, conferma questa prima impressione.

Eppure Pier sapeva – non chiedetemi perché – che mi sarebbe piaciuta.

L’abbiamo visitata ben prima che nascesse il nostro amato blog, sicché vi parlo più di sensazioni che di ricordi precisi e ben fissati nella mente. Tuttavia, siccome noi qui vogliamo condividere con voi il bello e il buono che sperimentiamo, perché magari vi venga voglia di sperimentarlo a vostra volta, questo posto non posso non citarlo.

Subito ad accoglierci, nella prima cappella a sinistra, una non molto nota (credo) “Nascita della Vergine” di Simon Vouet, caravaggista che di Caravaggio conserva qui la forza dei contrasti, la semplicità delle figure e la quotidianità della scena (il rimando al Maestro è anche nella presenza della figura di spalle, che c’ha da fa’, mica può preoccuparsi delle buone maniere).

Tuttavia Vouet ha il coraggio di non scimmiottare Caravaggio e opta per un ingentilimento dei movimenti, degli sguardi e della composizione, la cui circolarità, data dalla disposizione delle figure (tutte protettivamente curve verso Sant’Anna) e dalla direzione dei gesti, dà una poco caravaggesca “morbidezza” all’insieme.

Proseguendo lungo la navata sinistra, nascosto in una stretta e nascosta cappella, del tutto inatteso incontrate il gioiello della chiesa: l’“Estasi della Beata Ludovica Albertoni” del Bernini.

Evidente il rimando all’Estasi di Santa Teresa D’Avila, sempre di Bernini, ma di un Bernini di più di 25 anni più giovane e collocata nella ben più centrale chiesa di Santa Maria della Vittoria.

Lo scenario in cui è “esposta” Santa Teresa è molto più ampio e sontuoso, nonché teatrale, coi committenti scolpiti in logge laterali a commentare si direbbe con gusto e fare quasi voyeuristico.

La Beata Ludovica Albertoni è invece posta in uno spazio molto più “angusto” e privato, decisamente distante dall’osservatore; tuttavia, con un gioco prospettico delle pareti, che dall’ingresso della cappella fino alla scultura vanno a stringersi, Bernini fa sì che lo sguardo sia catalizzato dalla scultura come se fosse a due passi da noi.

Le gambe piegate, o meglio raccolte in modo scomposto e attraversate dal meraviglioso drappeggio della veste, la posizione delle mani, lo sguardo, gli occhi semichiusi, la bocca leggermente aperta difficilmente ci farebbero pensare al momento del trapasso, se non ci fossero i cherubini sospesi su di lei ad attenderla.

Con gli occhi e il cuore già grati di tanta bellezza, per puro caso abbiamo visto un cancelletto – purtroppo chiuso – che immetteva in una stanza spoglia, caratterizzata da pareti con nicchie vuote, geometrie austere a creare uno spazio metafisico, in cui è il vuoto a parlare. Non ci ha stupito – e insieme ci ha meravigliato enormemente – che si trattasse della cappella che custodisce le spoglie di Giorgio De Chirico.

Insomma, perché proprio lì? E’ interessante leggere su siti molto più informati di questo il motivo della loro collocazione in una defilata chiesa trasteverina dedicata a San Francesco.

Che visita stupefacente, pazzesca, abbagliante!

Attenti, amici, vi vedo che a Trastevere ci passate (e pure spesso!) per una carbonara: mi raccomando, San Francesco a Ripa vi aspetta!