Amazon da un po’ ha preso a fare sul serio anche coi film; Clooney ha cominciato da tempo, quantomeno come regista (ma è difficile trovarlo scadente anche in film… omonimi).

Ora, “premesso che non sono un esperto di cinema” (ma tanto non sono esperto di un sacco di roba… e voi mica sarete qui perché cercate gli esperti, no?), a me pare che il nostro stia procedendo con grande coerenza stilistica e stia anche consolidando già una cifra specifica, un modo di raccontare asciutto, nitido, che non cerca il picco ma la continuità, non strappa ma anzi lega, fino quasi a voler rasentare la normalità, narrando in toni e sequenze che hanno fluidità e molta misura.
In qualche modo sembra che, con molte delle sue scelte da regista e da produttore (ma in parte anche di attore), Clooney sia impegnato a disegnare una sorta di mappa identitaria del novecento USA, inanellando storie che mettono assieme percorsi personali e contesti sociali di una patria con cui Clooney sembra procedere in pace, senza la necessità di autocelebrazioni o condanne (usando al più una apprezzabile sobrietà quando accade).
Direte “ok, ma il film? Questo The Tender Bar com’è?”.
Vabbe’, per queste cose ci sono le recensioni di quelli bravi. Qui si parla d’altro, si parla intorno. Se volete partite come al solito da qui e via, ne saprete di più. Tra l’altro alcune cose che possono sembrare o proprio essere buchi di trama, mancati approfondimenti o altro ancora non ho modo di valutarli appieno, perché non ho letto il libro da cui il film trae sostanza e quindi non posso dire in quale manico sia il difetto.
Una nota di colore, è il caso di dire: il teal and orange è bello, ok, ne abbiamo preso tutti atto, compresi quelli che non sanno di averlo fatto, però non è che il mondo sia proprio bicolore, eh? Proviamo a uscirne un pochino?
Bello, magari non quel mezzo capolavoro di Monuments Men, ma bello.