Napoli, che non si può raccontare

(ultima visita: ottobre 2024)

Napoli, a volerne scriverci su, ti fa cominciare con la certezza di non riuscire a raccontarla.

Personalmente la ritengo la città meno descrivibile tra quelle a me note.
Tra le ragioni, centinaia, ne direi una che riguarda un concetto minimal, diciamo, ma totalizzante se si vuole descrivere qualcosa o qualcuno: Napoli è duale, contiene opposti e, tra l’altro, lo fa senza mostrare come questo possa pesarle tantissimo quotidianamente.

Duale

Napoli è lunga, con una Spaccanapoli che dall’alto impressiona pure le emozioni, ma è corta, con vicoli che all’ingresso ti sbattono in faccia già l’uscita. Orizzontale, con un lungomare e la sua vista che ti portano a guardare il mondo in sedici noni, ma verticale, quando da certi punti dei quartieri credi di poter continuare i tuoi passi per chilometri e ti trovi davanti pareti improvvise che risalgono fino a Corso Vittorio Emanuele, sospeso un metro avanti a te ma venti sopra.

Napoli è silenzio di mille chiostri repellenti al rumore, ma mille suoni appena apri una porta, anche solo per uscire da quei chiostri. Scura in passaggi infilati tra palazzi che li ingoiano, ma chiara di luci istantanee al primo angolo giusto svoltato.
Napoli è povera e ricca alla distanza di una funicolare; è nuova e vecchissima se ti affacci a guardarla dai suoi balconi più alti; è sopra e pure sotto, con fiumi di vita che scorrono lungo viali e metropolitane, e anche quelle metropolitane sanno essere duali, perché sono rettilinei lungo una città che è una sfida ingegneristica, ma proprio per quella sfida continua diventano curve in modalità uniche (guardate che diavolo fa la L1 tra Materdei e Medaglie d’oro per arrampicarsi); è naturalmente, storicamente, tecnicamente miseria e nobiltà.
Sa essere anche straordinariamente brutta, ma magnificamente bella.

Mi sa che potrei continuare per ore, ma poi il confine con le chiacchiere a vuoto magari lo supero a mia insaputa, quindi stacco qui.

Il pretesto

Che ci facevo a Napoli? Il pretesto era il Napoli Photo Festival, che… niente, ve ne parolo dopo.

Festival a parte, però, il resto è stato un susseguirsi di passi e soste a fare circa 25 km immersi nella normalità di una città che, comunque la si voglia guardare, di normale ha pochino.
Vi racconto il resto come segue, un po’ in sequenza temporale e un po’ in disordine, anche per rimanere nel mindset partenopeo.

Note per il viaggiatore: Nessun monumento, museo, chiesa o similari è stato oggetto di visita in questa tornata (queste meraviglie le abbiam viste in visite passate e ne vedremo in futuro). Ne segue che qui sotto vi saranno risparmiate descrizioni culturalmente baldanzose da uno che la cultura stavolta non l'ha masticata che di sguincio 

Disclaimer

L’idea di una guida turistica scritta su Napoli mi pare un’avventura surreale già se fatta in modo professionale; figuriamoci su un qualunque blog serio; figuriamoci su questo, che esiste per altri motivi. Proseguite quindi sereni lungo le prossime righe senza pensare di costruirci una qualunque gita sopra: qui ci son soltanto punti di interesse su una delle mappe emozionali che questi luoghi disegnano.

Venerdì

Arrivo di corsa nel tardo pomeriggio, dopo esser riuscito a prendere al volo il treno che precedeva il mio, poiché entrambi erano in ritardo di circa due ore… Ok, per le stories su questa faccenda sarebbe servito un giovine a fare i reel in stazione, ma se cercate i giovini qui mi sa che pure voi ritarderete di due ore il vostro prossimo appuntamento.
Dicevo: dalla stazione camminata veloce assai con zaino in spalla perché il luogo per dormire è nel centro del centro e per la consegna delle chiavi siamo, causa treno, oltre l’orario concordato. Ecco: passare per Forcella è sempre un’esperienza a sé, perché la zona, perlomeno vista da chi non ci vive, è sostanzialmente immutata da decenni (caso divenuto rarissimo, come vedremo dopo).

Note per il viaggiatore: Napoli è cambiata, non si lotta più per sopravvivere agli attraversamenti stradali già a partire dalla stazione: si comincia da qui dentro, quindi un po' più avanti

Il tuffo nella vita cittadina, se sei in centro storico, è come sempre: istantaneo, immediato. Da qualunque provenienza laterale, avvicinarsi a Spaccanapoli o alla sua parallela significa sentire il volume sche sale metro per metro, il vociare che si fa prossimo passo dopo passo. Sei dentro, tac, è fatta.

Overtourism

Troppo.
Nel periodo a cui questo articolo fa riferimento (ottobre 2024) Napoli soffre della malattia capitata anche a (elenco minimo) Roma, Firenze e Venezia: San Biagio dei Librai e Tribunali sono due vie in cui è complicato camminare, dall’alba a notte piena. Una vitalità gigantesca, un’esuberanza che da sempre caratterizza la città ma che qui va fuori scala. Mille pizzerie ne concretizzano in pratica una sola, lunghissima, di colorati tavoli in sequenza ininterrotta, serpentoni a perdita d’occhio di luminarie gialle, un mare di musiche sovrapposte e confuse alle chiamate ai tavoli per comande, saluti, battute e risate.

Ho fatto una verifica al volo su google maps: in trecento metri a caso di Via dei Tribunali scrivendo “ristorante” escono 18 locali.
Mi sa che un ristorante ogni 17 metri lascia perplessi anche solo restando sullo stereotipo del napoletano superstizioso. La quiete, lungo queste strade, arriva improvvisa e teatrale solo nei luoghi che abita da sempre.

Turisti contenti e felicemente arresi al tutto che li avvolge, non discuto, però qualcosa in questo modo di lasciar fare offerta turistica è andato storto; non parlo con la nostalgia di chissà cosa, ma con la sensazione che via via questo comporti perdita identitaria, qualitativa e, su un orizzonte più lontano, pure turistica, perché se nel lungo periodo ogni città somiglierà a ogni altra ci sarà sempre meno curiosità.
Entro in una cartoleria e, durante l’acquisto, parlo un po’ di questi argomenti col titolare, che lavora lì da molti anni. Mi risponde, a testimoniare che la qualità del turismo si è concretamente abbassata, con molti aneddoti recenti pure simpatici, se non fossero un segnale triste; ve ne riporto due in sintesi:

  • turista mostratasi incapace di capire che quella a pochi metri era la chiesa (grande!) che cercava e non “un palazzo” (“c’è una croce e un portone grande, signora! Ha mai visto un palazzo come quello?”)
  • turista che, a fronte del costo (indicato chiaramente) di venti euro per l’acquisto di un certo numero di cartoline, ha risposto “beh, ma a questo prezzo vado a mangiarmi un’altra pizza”

E però, però…

…Basta allontanarsi nemmeno di molto, anzi magari anche rimanere proprio in zona, per divertirsi godendosi la vita di chi questa città la abita davvero. Personalmente per la sosta pre-cena ho scelto Oak, dove tra proposte artigianali di birre e vini, un mood tranquillo e una clientela numerosa ma particolarmente in sintonia si sta davvero bene, in mezzo alle chiacchiere di tutti.

Si va a cena, e per questo weekend il programma è importante: tre giorni, tre pizzerie.
Partenza spostandosi ancora non di molto, per arrivare in quell’anfiteatro di umanità che è Piazza Dante, entrare a Port’Alba e salir le scale interne di Antichissima Pizzeria Port’Alba 1738. Quant’è buona. Pizza scelta: La storia, che di pizze tradizionali ne rappresenta quattro in spicchi.

Sabato mattina

Colazione da Capparelli, dove il cappuccino costa un tot ma la sfogliatella (frolla) è buona, seconda a-chi-tutti-sanno, ma buona. Si va a Bagnoli al Photo film festival.

Napoli Photo Festival 2024

Bella esperienza.
L’associazione culturale Flegrea Photo a Bagnoli ha messo assieme varie cose:

  • una mostra
  • un concorso
  • una mostra legata al concorso
  • letture dei portfolio di chiunque ne avesse uno da far esaminare
  • incontri tematici
  • l’utilizzo della ex base NATO che, insomma, sta lì inanimata; con essa, magari, l’idea di una possibilità nuova per Bagnoli

Di vita, invece, in questa manifestazione se n’è vista eccome, tra l’altro con un pubblico che non è stato solo quello di professionisti o appassionati di vecchia data, ma anche di ragazzi e, tra loro, perfino di quelli che -eresia per i boomer!- scattano col telefono e certi dispositivi non li hanno mai toccati; sono stati presenti anche molti curiosi, magari meno esperti, per l’interesse verso appuntamenti come quello dedicato all’AI nella fotografia.

Finalmente, in sintesi, arrivano anche le iniziative che sanno di futuro.

Sabato pomeriggio

Tornando dal festival, Piazza Amedeo è stato l’arrivo del treno da Bagnoli e l’inizio della passeggiata: Chiaia, per dirla in breve, ma anche, da lì, uno tra le migliaia di aspetti fascinosi di questa città, cioè i passaggi spesso spiazzanti tra una zona e la successiva, a una distanza che per atmosfere e caratteristiche sembra chilometri e invece è metri, talvolta meno di dieci.

Succede che sei a Via dei Mille, tra negozi griffati o griffatissimi, e poi via Chiaia a proseguire; magari non la percorri tutta perché per scoprire qualcosa giri nel primo vicolo che ti capita e… alé, sei nei quartieri spagnoli.

Anche qui il turismo è arrivato e si vede, ma non siamo ai livelli di Spaccanapoli: pizzerie, cuoppi e birre ti attraversano il cammino o ti passano accanto a dozzine, ma resta la città, la realtà, la percezione di essere lungo strade e non in una fiera dello street food. C’è sempre quel simpatico e tradizionale sentirsi al confine con la morte per il normale passaggio a trenta all’ora di motocicli a diciotto centimetri da chiunque, ma in fondo è solo questione di tenere botta a livello cardiaco nelle prime ore di visita in città; poi ci si abitua.

Cammina cammina, tra un negozio di fotografia che non aveva l’obiettivo usato che cercavo e un emporio per il cambio di solette alle scarpe (non trovavo l’articolo dove indicato dal titolare, il quale vedendomi in ambasce ha sentenziato da lontano, tra la preoccupazione dei presenti, “credo debba cambiare prima gli occhiali”), son risalito fino a Piazza Càvour (attendo studi precisi su questa accentazione, perché al momento le fonti in mio possesso sono imprecise, variegate e non certificabili).

Il motivo per cui sono arrivato lì è che finora, in tanti ritorni qui, non avevo mai visitato il rione Sanità.

Tuttavia è evidente che pure qui le cose son cambiate, ma Napoli è rimasta tutta tutta e, anzi, ha saputo risorgere in progetti turistici veri, con visite guidate programmate, prenotazioni internet dedicate e una voglia latente di cambiare le cose che si vede in più punti. L’ho percorso fin troppo, perché sostanzialmente sono arrivato quasi alla stazione Materdei della metro. Fatelo, senza emularmi fino a questo punto, e poi magari prendete l’ascensore nel bel mezzo del quartiere per… salirgli sopra e guardarlo dal viale che vi porta verso Nord a Capodimonte e verso Sud di nuovo in centro.

Pizza serale, pure questa davvero buona ma che mi ha fatto innamorare solo un filino meno rispetto alla precedente, da Trattoria Medina.

Domenica

Ecco che, nei miei giretti a perdermi apposta in vie che non conosco, mi propongo (e accetto, pure) di arrivare a vedere la nuova bellissima stazione Chiaia della metro. Scendo sottoterra a Municipio e un addetto si incammina con me verso la scala mobile… per avvisare che quella linea si è testé fermata.

Cambio programma e pure cambio metro: potete salire facilmente al Vomero da lì, sempre in metro, e godervi un’altra delle tante Napoli che Napoli sa essere. Castel Sant’Elmo a quel punto diventa un passaggio ben più che consigliabile e infatti perfino banale; meno banale è riscendere verso i quartieri esattamente da quella splendida terrazza panoramica, lungo gradini e gradoni che via via aprono squarci di verità diverse su una città che ne contiene fin troppe. Non stancatevi di scendere e guardare tutto.

Arrivati a Corso Vittorio Emanuele potete calarvi verticalmente, poco più a sud, di nuovo nei quartieri spagnoli ma nella zona nord, dove una fondazione ha creato Foqus, realtà davvero bella, importante e che profuma di rinascite. Non sto a parlarvi di cose che potete reperire facilmente: passateci.

A pranzo pizza notevole e scenario omonimo da Palazzo Petrucci.

Sfogliatelle… lì, dove vanno prese, e treno.

Si parte per casa, con la voglia di tornare e metter su un andirivieni con questo mondo a parte, in cui avrei grandi difficoltà a vivere ma che gronda vita.

Merceria Spagnulo, storia salernitana

Era il 1904 quando la famiglia Spagnulo aprì la sua bottega, a Salerno. A Via dei Mercanti, inutile dire, in quello che un giorno sarebbe stato chiamato “centro storico” ma che allora era il cuore pulsante della città.

Da romana acquisita quale sono, via dei Mercanti mi rimanda a via dei Giubbonari, via dei Balestrari, via dei Chiodaroli. Quanto mi piacerebbe poter tornare indietro nel tempo, il tanto che serve per vedere quelle strade nel periodo in cui i nomi ne riflettevano la vita reale: il fervere delle attività, il battere dei ferri, il dettaglio di ogni lavorazione, le grida scambiate tra le varie botteghe, le contrattazioni con i clienti.

Fossero stati romani, gli Spagnulo avrebbero senz’altro aperto a via dei Cappellari, poiché anche quello facevano (o meglio avrebbero poi anche fatto, più avanti), cappelli.

Aprirono producendo ventagli: avrei passato le giornate a comprarne, se avessi vissuto allora. Divennero poi anche merceria e cappelleria, e in queste “trasformazioni”, indotte dalle mutate esigenze della clientela, una tappa importante (di cui non ricordo purtroppo i dettagli) si colloca nel 1959, la data riportata nell’attuale insegna del negozio.

L’attività andò subito bene, e continuò ad andare bene per anni, decenni.

Gli attuali titolari, discendenti di ennesima generazione, ce lo raccontano con orgoglio. I vestiti nuovi erano un lusso e una rarità; la normalità era rammendare. Rammendare tutto: dalle calze ai pantaloni alle mutande. Che pare brutto da dire, eppure le portiamo tutti, a parte bizzarre eccezioni.

Sicché, dal momento in cui le serrande si alzavano, era un andirivieni continuo e la giornata era sì faticosa, ma anche rapida a scorrere e soddisfacente dal punto di vista economico.

La bottega degli Spagnulo ha la bellezza di 118 anni: quanta storia, quante storie ha visto, e quanto sono stati bravi loro a trasformarsi man mano che il mercato dava segnali nuovi.

Così, quando via Mercanti è diventata una strada in cui più che i locali passeggiano i turisti, grazie alle loro ormai provatissime doti camaleontiche, gli Spagnulo hanno saputo trovare una nuova formula, che propone prodotti di qualità che ben si prestano anche ad essere un ricordo di viaggio e che insieme restano nel solco della tradizione di famiglia, quello della merceria e della pelletteria.

Spagnulo a Salerno

Esternamente il negozio ricorda fieramente le proprie origini, nell’insegna elegante e nell’aver conservato le porte battenti dal sapore antico. Nel periodo in cui l’ho visitato, a fine giugno, le vetrine esponevano ventagli di legno decorati con motivi ripresi da quadri di artisti tra i più noti (Van Gogh, Klimt, Monet), Frida), ombrellini colorati in modo analogo e articoli di pelletteria adatti anche a chi sia del posto: cinture, portafogli, cappelli e così via.

Essendo io fanatica di ombrellini, ventagli e arte, mi sono catapultata sulla vetrina destra con la stessa eleganza con cui gli orsi si attaccano al miele e le cozze allo scoglio, dopodiché entrare è stato inevitabile.

alcuni acquisti da Spagnulo

Mentre sceglievo i 3 ventagli, i due ombrellini e il berretto da comprare (eh, mica potevo uscire a mani vacanti), scambiavamo chiacchiere con i fratelli Spagnulo (fratello e sorella, per essere precisi), che con piacere ci hanno raccontato la bella storia di famiglia di cui sono i testimoni.

Andate da loro e, mi raccomando, salutateceli!

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Pizzeria Resilienza, Salerno

(ultima visita Luglio 2022)

Ne convengo, il nome è diventato nel frattempo un abusato passepartout dell’oratore al cartoccio, piatto sempre pronto della prosopopea, ma la pizzeria è nata nel 2013, perciò siate resilienti e procediamo.

Il prologo (una raggiungibilità non istantanea: l’indirizzo c’è, ma bisogna girare attorno a un palazzo, scendere scale, cose così), in un certo modo prepara al posto. Si arriva in una sorta di piazzetta pedonale piacevolissima, al riparo da viali, auto e rumori. Immagino che fuori si possa star bene per buona parte dell’anno.

Carta di vini e birre divertente, con tanta Campania e sostanzialmente nessuna banalità, escludendo un prosecco messo lì perché secondo me qualcuno da accontentare solo così capita sempre. Insomma, anche sul bere si cerca di occupare una posizione definita e non di massa.

Le pizze sono state:

PROFUMI DI COSTIERA

PROVOLA AFFUMICATA A FIENO,

ALACCIA DI LAMPEDUSA,

LIMONE DELLA COSTIERA AMALFITANA IGP,

PEPE

7,50 €

BACCALA’ E CRUSCO

FIOR DI LATTE,

BACCALA’,

PEPERONE CRUSCO,

OLIO EVO

10,00 €

pizza con farine integrali, provola affumicata, limone della costiera amalfitana IGP, pepe

Che bontà.

Trovate qui la loro storia, la filosofia e gli altri dettagli, ma tra foto, nome e qualcos’altro vi è già chiaro che parliamo di un livello di offerta alto, intenzionalmente e forse anche radicalmente alto.

Il punto un po’ buffo è che capireste la qualità intrinseca di questa pizzeria da questo articolo meglio che da un semplice pranzo al volo senza interazioni con titolare e staff, perché il menu -con una modestia che definire inusitata è ormai inusitato ma c’ha pure senso- non specifica scoperte che fai solo quando, colpito da un’evidente qualità di impasto e sapori, fai qualche domanda al titolare. E’ in quel momento che lui, contento della curiosità, tira fuori la “ciccia” del locale, il motivo per cui hai già deciso di tornarci decine di volte: mix ovviamente studiato di farine integrali, sale di Trapani selezionato, attenzione e cura per ogni ingrediente… Insomma, fino a quel momento una gioia per papille e pupille, poi l’esperienza di conoscerne ragioni e radici dalle parole di uno che, convintamente, resilientemente, ci crede.

pizza con farine integrali, fiordilatte, peperone crusco, baccalò, olio EVO

E’ un modo di porsi, quello di stare un passo indietro e scoprire le carte solo ai curiosi, che visto da un romano fa un effetto molto positivo ma inizialmente straniante, perché quel romano viene da una città in cui troppo spesso il mondo del “mangia e bevi” ti porta lo storytelling come antipasto, e fin qui andrebbe anche bene, ma talvolta ne fa un vanto che diventa quasi un prescindere dal risultato finale, e questo va meno bene. Qui c’è misura e sobrietà, una direzione più ostinata e contraria che resiliente, come a dire che intanto va portata in tavola una cosa buona e poi se vuoi se ne parla pure.

Not for beginners, come approccio.

Tutto perfetto? A gusti, come quasi sempre! Si potrebbe dire che il crusco forse avrebbe voluto un baccalà con una punta di salatura in più per non schiacciarlo in personalità; si potrebbe pure aggiungere che il limone letteralmente a fettine sulla pizza sa essere divisivo, ma appunto stiamo miniaturizzando i commenti su questioni che diventa bello condividere a tavola mentre di queste pizze ne mangi e rimangi.

Senza mancar di dire che il limone a fette sulla pizza a me è piaciuto moltissimo.

Diciamo che fossi in voi non me la perderei, approfittando così per visitare una città che continua ad essere molto bella e curata.

Dàtece retta!

Li trovate qui.

Tratturì – Transumanza Gastronomica, Avellino

(ultima visita: luglio 2022)

Per chi si diverta a considerare la cena fuori un’esperienza, intesa perlomeno come vivere qualcosa che non puoi riprodurre uguale uguale a casa, ci sono ristoranti che valgono la visita a prescindere. A prescindere dalle righe che leggerai nel menu, dai nomi presente tra i vini, dal tavolo che potresti trovare più o meno sistemato come lo volevi.

Tratturì – Transumanza Gastronomica” è uno di questi posti qui.

Avellino, mi si dice in zona, è città che al suo interno non offre molto per chi voglia andare un po’ al di sopra del togliersi la fame; magari per una buonissima pizza o piatti di tradizione ben fatti c’è questo, quello e quell’altro, ma sono pochi i casi in cui si provi con un’offerta di tipo diverso. Gerardo Urciuoli invece ci prova. Ha fatto esperienza presso un noto ristorante di alto livello della provincia e qui ha deciso di portare altro, puntando fin dal nome sul territorio e sulla materia, prima.

i funghi

Proprio dal nome del ristorante ha senso partire per capire come si stia a mangiare qui: se volete si può pure scrivere la parola gourmet, anche se con Transumanza c’entra pochino; mi basta che ci intendiamo però sull’approccio, che è ricerca, terra, stagione, offerta del mercato, tutto quanto messo in primissimo piano ed a servizio di ciò che viene dopo, e che non è secondario ma sicuramente funzionale alle premesse.

la guancia

Le due sale contigue sono molto accoglienti e sanno di coerenza con la cucina, che noi abbiamo gustato nel giardino posto accanto all’ingresso. Servizio attento, ampia carta dei vini con ricarichi su cui, come in quasi tutti i ristoranti, per i prezzi più bassi ci sarebbe qualcosa da dire ben più che per i livelli alti (ma è un discorso palloso e qui lo saltiamo), tavoli comodi come le sedute… insomma, formalmente funziona proprio tutto e quindi non lo minimizziamo, ma la parte protagonista riguarda a mio avviso proprio l’esperienza umana, le chiacchiere con chef e sommelier, l’atmosfera che non ha nulla di costruito, l’informale non come mossa di marketing ma perché proprio ha senso rispetto alla proposta.

Le recensioni serie prevedono prima o poi un punto in cui il grande critico si ingarella a trovare l’imperfezione, la portata fatta malino, il picogrammo di sale in più o in meno.

Fingendo d’esser altrettanto serio ma senza ingarellarsi, lo scrivente non vuol affermare che l’imperfezione in questa cena non sia esistita, ma chiarire un punto, peculiare. L’imperfezione, in un luogo come questo, è parte del patto che si fa con lo chef, a cui per esempio nella serata specifica io ho chiesto di portare quel che decideva lui. Volevo conoscere la sua cucina, non mettere i miei gusti al primo posto. Lui si è sentito di provare anche cose non in menù, che avevano senso quel giorno con la disponibilità in cucina, e me l’ha detto. Ha fatto piatti da menù e piccoli esperimenti, ovviamente non casuali ma nemmeno serializzati da un passato che non avevano. Andava bene così, era quel che ci eravamo detti, è venuto a chiedermi, a parlare, a confrontarsi con me che tra l’altro, come dire, nel mondo della ristorazione non rappresento altro che un qualunque cliente.

Questo modo di intendere la ristorazione e la professione mi è piaciuto moltissimo.

le rape

Complicato usare il conto per raccontare quanto si spenda, perché sono andato sostanzialmente fuori menù per quasi tutta la serata. Posso dire che il rapporto qualità prezzo è, volendo sintetizzare, abbastanza commovente.

l'anguilla coi friggitelli

Mi è chiaro, amici ascoltatori extrairpini: non passerete per Avellino esattamente ogni mercoledì alle 20, ok. Io però per una cena così farei pure discrete deviazioni lungo un viaggio, ecco.

Ah, giusto: li trovate qui