Ristorante Al Metrò, San Salvo (CH)

(ultima visita: Giugno 2023)

San Salvo è l’ultimo mare d’Abruzzo a sud, subito prima che cominci il (breve) tratto molisano a precedere la Puglia.
Vi è andata bene: poi l’Italia finisce e questa introduzione vi si chiude così.

Detta introduzione serviva poi a cosa?

Non disturbatevi, rispondiamo noi: è per dire che qui si arriva con tempistiche decorose da tutto il centro Italia, oppure soltanto più aleatorie venendo dall’alto Molise, nel qual caso la statale Trignina -col suo frizzante susseguirsi spaziale e temporale di piccoli, grandi, lunghi lavori- sa riservare sorprese. Ne sanno qualcosa al ristorante stesso, viste le varie telefonate di aggiornamento con cui cercavamo di rassicurarli via via sul nostro arrivo involontariamente tardivo.

Ci siamo fatti aspettare un po’, insomma, ma alla fine hanno saputo e potuto gestire il nostro molto annunciato ritardo, sicché tutto è filato liscio nonostante noi.

Il mondo degli stellati è probabilmente (lo si sostiene da più parti) in mutazione. Crisi varie, stipendi di noi clienti che in moltissimi casi non viaggiano veloci quanto i prezzi, forbici sociali che si allargano un po’ e altro ancora formano un complesso di questioni per cui sarà forse opportuno andare sempre più alla sostanza, tenendo magari fermi aspetti chiave del servizio ma spostando il baricentro verso materia prima, piatto, efficacia.
Alcuni ristoranti di questa categoria sono già stabilmente su questi equilibri da tempo; sul passato del Metrô non sappiamo dire perché per noi è stato un debutto, ma l’offerta al momento della visita (giugno 2023) è centrata per forme e contenuti.

Il menù che abbiamo scelto è stato quello in foto.

Nella sua presentazione, ma anche in tutto il resto del pranzo, l’atmosfera è stata certamente adeguata alla situazione ma via via piacevolmente meno formale, come secondo lo scrivente ha senso che accada nell’incontro tra un modo di fare ristorazione e alcune tipologie di cliente. Sta al mestiere dello staff di sala capire chi si ha di fronte e regolare il livello; con noi sono stati perfetti.
ndr: Per quanto ci riguarda questo del tipo di servizio è uno dei punti chiave che, nel benessere fortunato di un pranzo in un ristorante di fascia alta, fa il grosso della differenza tra mangiare bene e il suo upgrade, stare bene.

Ora, di fronte ad un menù che accompagna un’esperienza, personalmente trovo non solo fuori posto ma perfino un po’ stucchevole indugiare nelle descrizioni di singole portate. E’ pure una scusa per coprire il mio non essere un critico gastronomico, ma detta meno altezzosa è la constatazione di piatti davvero efficacissimi, su cui la differenza di valutazioni sta nei gusti personali.

La sequenza scelta dallo chef ha mostrato senso e logica durante il pranzo, con tempi di servizio clamorosamente precisi. Confido nel fatto che ci fossero quel giorno pochi tavoli da servire, anche per colpa del nostro ritardo come detto sopra, perché col pieno mi pare sostanzialmente impossibile qualcosa di così chirurgico.

Volendo invece descrivere nell’insieme l’approccio di cucina che si ha di fronte, la sensazione è quella di un luogo in cui la scelta della materia prima è molto curata, l’utilizzo nelle preparazioni sembra dare indicazioni piuttosto chiare: l’estro resta a servizio del piatto senza sconfinare in un esercizio creativo.
Sono scelte di campo, a mio avviso, e direi che andare più di fantasia o più di controllo non porti per forza a pranzi fantastici o deludenti; si tratta però di strade stilistiche che certamente definiscono i contorni di un’esperienza, sicché mi pare sensato dirvi dov’è che si stia qui.

In questo caso il viaggio si fa tutto sommato senza esoterismo, con interventi senz’altro anche fuori standard ma misuratissimi e sobri. Il menu che avete letto sopra, comunque, evidenzia che ci si diverte lo stesso!

L’ingrediente principale mantiene il ruolo anche nel gusto, ancorando i piatti al loro centro.
Questa solidità di fondo, unita ad un servizio preciso ma non barocco, lascia le portate come protagoniste.

Per gli abbinamenti coi vini si viaggia ovviamente bene e con una certa serenità anche rispetto ai prezzi per chi non voglia esagerare. Magari qualche azzardo in più sarebbe anche gradito, ma ha una sua apprezzabile coerenza questo mantenere i piedi per terra.

Ad ogni buon conto gli azzardi enoici ci sono e sono anche di livello, come vedrete tra qualche foto.

Il conto ha molto senso rispetto a come si è mangiato, all’ampia sequenza, alla gradevolezza del servizio, all’evidente attenzione posta su ogni momento del pranzo e alla sensazione complessiva, assolutamente positiva, che si tiene dentro uscendo.

Bel posto (d’estate direi ulteriormente bello mangiando nel piccolo giardino), persone con cui è piacevolissimo conversare e un viaggio gastronomico appagante e pieno.

Datece retta, certo.

Proloco Trastevere, Roma – A spasso nel territorio, con amore

Trastevere, luogo bellissimo di Roma e dell’anima che però, a più di qualche romano, fa scappare istantameamente qualche parolina subito dopo l’anima suddetta. Per gli anzianotti diciamo croce e delizia e usciamone così, con delicatezza. In questa continua passeggiata tra piccole e grandi meraviglie tra fiume e Gianicolo si può dire che togliersi la fame in qualche modo e in qualunque ora è semplicissimo. Un po’ più di cura è invece richiesta volendo anche un’esperienza di qualità; ancor di più -ma questa è proprio la vita, mi sa- c’è da cercare se si vogliono anche incontrare persone belle, con cui diventa bello incontrarsi la volta successiva con la scusa di tornare.

Elisabetta Guagliarone è la padrona di casa; dalla cucina esce quando può e ti racconta quel che fa, con la passione di chi tiene al cosa e al come. Il suo compagno Vincenzo Mancino è da tempo un ambasciatore culinario del Lazio per la sua selezione attenta di prodotti e produttori regionali meritevoli del suo “marchio” DOL (Di Origine Laziale), realtà gastronomica nata a Centocelle e, per farvi una prima idea, visitabile qui. Le materie prime, insomma, sono anch’esse questione di casa, gestite con la consapevolezza e la determinazione di voler arrivare fino al piatto lungo un percorso di cui si conoscono partenza e tappe.

Il menu è divertente, è diretto, non si preoccupa di distinguere tra innovazione e tradizione, né di starci in mezzo o di appartenere a uno dei due estremi. E’ semplicemente il risultato del modo in cui si ragiona a monte: gli ingredienti vengono rispettati perché hanno singolarmente da dire qualcosa, sicché a tavola arriva esattamente la logica conseguenza, arricchita da un colore che solo le passioni sanno dare e che qui è amore per il lavoro che si fa.

Forse il modo migliore per conoscere Elisabetta e la sua cucina è il pranzo contadino, in cui gli antipasti di quella domenica diventano i compagni di tavola arrivando tutti assieme, presentati e spiegati.

La caccia all’aggettivo, quando vuoi scrivere di viaggi così belli tra i sapori, è tra gli sport estremi coi risultati più pericolosamente ridicoli. Evitando perciò di intrattenerci in tale pratica, l’invito che vi facciamo è di prendere una mattina e la curiosità, lasciarvi portare da loro verso Trastevere (e verso Roma per chi chiama da fuori Roma), guardare in su e in giro mentre camminerete, stancarvi un po’ perché magari salirete pure sul colle a guardare la città dall’alto, entrare in questo posto accogliente e godervi un’esperienza che lascia un po’ di sazietà e un po’ di fame in arrivo per la volta successiva che vorrete.

Bravissima, Elisabetta. Si sta bene, da te.

Trovare Proloco qui

Tratturì – Transumanza Gastronomica, Avellino

(ultima visita: luglio 2022)

Per chi si diverta a considerare la cena fuori un’esperienza, intesa perlomeno come vivere qualcosa che non puoi riprodurre uguale uguale a casa, ci sono ristoranti che valgono la visita a prescindere. A prescindere dalle righe che leggerai nel menu, dai nomi presente tra i vini, dal tavolo che potresti trovare più o meno sistemato come lo volevi.

Tratturì – Transumanza Gastronomica” è uno di questi posti qui.

Avellino, mi si dice in zona, è città che al suo interno non offre molto per chi voglia andare un po’ al di sopra del togliersi la fame; magari per una buonissima pizza o piatti di tradizione ben fatti c’è questo, quello e quell’altro, ma sono pochi i casi in cui si provi con un’offerta di tipo diverso. Gerardo Urciuoli invece ci prova. Ha fatto esperienza presso un noto ristorante di alto livello della provincia e qui ha deciso di portare altro, puntando fin dal nome sul territorio e sulla materia, prima.

i funghi

Proprio dal nome del ristorante ha senso partire per capire come si stia a mangiare qui: se volete si può pure scrivere la parola gourmet, anche se con Transumanza c’entra pochino; mi basta che ci intendiamo però sull’approccio, che è ricerca, terra, stagione, offerta del mercato, tutto quanto messo in primissimo piano ed a servizio di ciò che viene dopo, e che non è secondario ma sicuramente funzionale alle premesse.

la guancia

Le due sale contigue sono molto accoglienti e sanno di coerenza con la cucina, che noi abbiamo gustato nel giardino posto accanto all’ingresso. Servizio attento, ampia carta dei vini con ricarichi su cui, come in quasi tutti i ristoranti, per i prezzi più bassi ci sarebbe qualcosa da dire ben più che per i livelli alti (ma è un discorso palloso e qui lo saltiamo), tavoli comodi come le sedute… insomma, formalmente funziona proprio tutto e quindi non lo minimizziamo, ma la parte protagonista riguarda a mio avviso proprio l’esperienza umana, le chiacchiere con chef e sommelier, l’atmosfera che non ha nulla di costruito, l’informale non come mossa di marketing ma perché proprio ha senso rispetto alla proposta.

Le recensioni serie prevedono prima o poi un punto in cui il grande critico si ingarella a trovare l’imperfezione, la portata fatta malino, il picogrammo di sale in più o in meno.

Fingendo d’esser altrettanto serio ma senza ingarellarsi, lo scrivente non vuol affermare che l’imperfezione in questa cena non sia esistita, ma chiarire un punto, peculiare. L’imperfezione, in un luogo come questo, è parte del patto che si fa con lo chef, a cui per esempio nella serata specifica io ho chiesto di portare quel che decideva lui. Volevo conoscere la sua cucina, non mettere i miei gusti al primo posto. Lui si è sentito di provare anche cose non in menù, che avevano senso quel giorno con la disponibilità in cucina, e me l’ha detto. Ha fatto piatti da menù e piccoli esperimenti, ovviamente non casuali ma nemmeno serializzati da un passato che non avevano. Andava bene così, era quel che ci eravamo detti, è venuto a chiedermi, a parlare, a confrontarsi con me che tra l’altro, come dire, nel mondo della ristorazione non rappresento altro che un qualunque cliente.

Questo modo di intendere la ristorazione e la professione mi è piaciuto moltissimo.

le rape

Complicato usare il conto per raccontare quanto si spenda, perché sono andato sostanzialmente fuori menù per quasi tutta la serata. Posso dire che il rapporto qualità prezzo è, volendo sintetizzare, abbastanza commovente.

l'anguilla coi friggitelli

Mi è chiaro, amici ascoltatori extrairpini: non passerete per Avellino esattamente ogni mercoledì alle 20, ok. Io però per una cena così farei pure discrete deviazioni lungo un viaggio, ecco.

Ah, giusto: li trovate qui

Rossovino da Maurizio: pesce a Monteverde

Chi a Roma abita a Monteverde (avrete iniziato a sospettare che gravitiamo in questa zona!) ha tanto verde a disposizione e tanto cielo pure, ma anche due problemini: l’assenza di cinema e la scarsità di ristoranti in cui poter mangiare pesce bene e a prezzi sensati.

La prima questione tuttora mi dispera, mentre alla seconda – daje e daje, tenta che ti ritenta – abbiamo trovato una insperata e graditissima soluzione.

Rossovino da Maurizio è in via Jenner, strada di negozi e passeggio; non c’è qui chi non lo conosca. La sottoscritta compresa.

Ma si sa, spesso quello che cerchiamo ce l’abbiamo sotto il naso e non lo vediamo. Nel caso specifico (cosa non ti fa la mente umana!) credo che sia proprio il fatto di averlo sempre visto lì, granitico, come un albero secolare o una specie protetta, a non avermelo mai fatto prendere in considerazione.

Poi però, quando lo abbiamo provato, ce ne siamo innamorati.

Se si esce dalla logica per cui val la pena mangiare solo in posti ricercati o rinomati o di moda o unici nel loro genere, si capisce come l’appellativo di ristorante di quartiere non sia riduttivo; piuttosto, è un titolo con il quale il quartiere, appunto, “elegge” quel ristorante a proprio rappresentante e lo fa con una selezione attenta – magari inconsapevole – che porta infine quel posto a essere quello in cui senza nemmeno doversi accordare si va per il “pranzo della domenica” o per il compleanno del nonno, e dove trovi, variamente assortiti, il signore da solo, i turisti del b&b accanto e le due amiche ottantenni.

Ecco, Rossovino da Maurizio è meritatamente ristorante di quartiere, nel senso bello che ho finalmente compreso.

La scelta è varia: mari e monti, insomma. E pizza, anche! Nelle numerose volte in cui, dopo esserci decisi a entrare, siamo stati loro ospiti, ci siamo tenuti sui mari e di quelli parliamo. Grandissima scelta di pescato del giorno, a prezzi fortemente al di sotto di quello di un trilogy di Bulgari, su cui invece si attestano gli altri ristoranti che abbiamo sperimentato in zona e non solo.

tartare di tonno

Grandissima scelta, dicevo: orata, spigola e san pietro per i tradizionalisti; diverse altre opzioni, ogni volta differenti a seconda della disponibilità del giorno, per i curiosi: ad esempio, una delle ultime volte, su proposta di Alessio, il nostro “cameriere di fiducia”, abbiamo preso un pagro, cucinato in cartoccio con dei meravigliosi funghi porcini arrivati il giorno stesso. Una delizia.

Lui sapeva che quel giorno il pagro fatto in quel modo era quel che ci avrebbe reso felici. E naturalmente non ha sbagliato.

porcini

Ci vede arrivare da lontano, Alessio, come avesse dei sensori, e ogni volta ci porta dove vogliamo. Due giorni fa, al momento della scelta della portata principale, gli spiaceva che – a causa dei miei mille problemi alimentari – dovessi rinunciare a una preparazione che non avevo ancora assaggiato e bissare quella di una delle altre volte (perché lui RICORDA cosa hai preso le altre volte) e senza che glielo chiedessi si è informato presso lo chef se fosse possibile una variante, con esito positivo. E io commossa.

Le preparazioni sono classiche, ma per farle bene bisogna essere bravi bravi, poche storie, e avere ottima materia prima.

Per i vini, non ne troverete di “non convenzionali”, tuttavia disporrete di una inusualmente ricca scelta di buone – alcune ottime – bottiglie da 375ml, graditissima alternativa al quartino quando si ha voglia di bere poco e insieme di provare qualche etichetta. Noi ci siamo affezionati al Bric Amel, ma conto che sapremo provare altro.

Il titolare passa tra i tavoli, disinvoltamente verificando che sia tutto sotto controllo, e scambia chiacchiere e battute con i clienti che vede ben disposti, e di noi ha capito subito che di parlare, confrontarci e anche scherzare abbiamo una gran voglia. È esperto, come ogni artigiano che conosce il proprio mestiere, ed è l’amore per il mestiere a guidarlo.

delizia al limone zuppa inglese crostata

Il pasticciere, a riconferma della dimensione artigianal-familiare del posto, è suo fratello e forgia una crostata con (tanta!) marmellata di kumquat che è da tornarci apposta. Anche la marmellata è locale e, ve lo assicuro da maniaca delle marmellate, eccezionale.

In un’occasione, nell’ordine: ne ho mangiato una porzione, me ne sono fatta incartare un’altra per la colazione del giorno dopo e ho chiesto se qualche volta posso ordinarla “a portar via”: ora ditemi se non crea dipendenza!

Il Pier, che pure non è un appassionato della voce “dessert”, è andato in visibilio con ogni dolce provato, e in particolare ha ritenuto la loro zuppa inglese la migliore mai assaggiata. Addirittura paragonabile, nella sua perfezione e nella sua eleganza, ai dolci di una rinomata pasticceria di zona, che tutta Roma, e non solo, conosce.

Per chiudere, amici, Rossovino da Maurizio è un posto dove è bello stare e da cui dispiace andar via: è entrato a pieno titolo nei miei e nei nostri posti del cuore, e non vediamo l’ora di tornarci con voi.