Come sapete, il nostro blog amico GoModa ci tiene informati su quanto di bello accade in Molise.
Stavolta si è trattato di uno spettacolo teatrale che “sa di territorio”, come un piatto tipico o un paesaggio caratteristico.
Vi lasciamo all’articolo!
Come sapete, il nostro blog amico GoModa ci tiene informati su quanto di bello accade in Molise.
Stavolta si è trattato di uno spettacolo teatrale che “sa di territorio”, come un piatto tipico o un paesaggio caratteristico.
Vi lasciamo all’articolo!
I centoventisei triliardi di percorsi che le nostre vite fanno ci portano talvolta lungo strade che, all’improvviso, diventano bivi. Siccome anche questi sono difficilmente numerabili, abbiam pensato bene di parlare qui di un bivio soltanto, però piuttosto cicciotto.
Domandare a noi stessi se si voglia adottare un cane (non ce ne voglia nessuno: la premessa di questo post è non comprarli ma dare una vita migliore a quelli in canili e rifugi) ha quattro vie principali di uscita:
Un piccolo universo emotivo, pratico, razionale e immaginifico si spalanca da solo appena si varca il perimetro della possibilità.
Naturalmente è perfino ovvio ricordarvi quante decisioni possa comportare una scelta simile rispetto alla vita che avete condotto e che poi condurreste. C’è da pensarci per bene non tanto in termini di tempo per decidere, ma proprio di contenuti da affrontare, quasi tutti con noi stessi.
Bene.
Se state leggendo pure questa riga vuol dire che perlomeno l’ultima delle quattro risposte dovrebbe non appartenervi. Procediamo tra noi rimasti sulla pagina.
Dal canile.
Il vostro comune, direttamente o tramite convenzioni, può indicarvi la struttura a cui rivolgervi. Deve essercene una di riferimento perché, come dice Gemini a cui l’ho appena chiesto, la Legge quadro n. 281 del 14 agosto 1991 sulla prevenzione del randagismo e la tutela degli animali d’affezione impone ai comuni di farsi carico della gestione dei randagi.
Da lì comincia il viaggio vero.
Se non avete ancora considerato qualche aspetto nella vostra testa, è probabile che il questionario di ingresso al canile vi apra nuove domande, con le relative risposte che, affermative o no, lisce o ruvide, immediate o complesse, sarà interessante trovare dentro di voi.
C’è un primo elemento da affrontare con cura e delicatezza: perimetrare le vostre esigenze non dev’essere un elenco degli sfizi che volete togliervi prendendo un cane, ma nemmeno una lista di sensi di colpa perché moralmente sentite di dover stare a zero pretese.
Premesso che queste esigenze saranno comunque soddisfatte “al meglio possibile” e non “alla perfezione” -come un po’ tutte le cose vere nella vita-, capire approssimativamente che tipo di giorni, mesi e anni volete condividere con l’animale è importante: per mille motivi personali potreste avere poco tempo, o poca possibilità di fare attività molto dinamiche, oppure ancora necessità di un animale tendenzialmente più mansueto o giocoso o esuberante o eccetera.
Ecco, cercate di capirlo perché è bellissimo dare una casa e un “branco” ad un cane di un canile, ma l’importante è far sì che abbia una vita migliore, e siccome quella vita sarà vissuta insieme alla vostra è bene comprendere realisticamente che tipo di esistenza potete offrire e gestire.
Da lì, dalle articolazioni a cui queste domande portano, si arriva con lo staff del canile a immaginare chi tra i cani presenti in struttura possa essere affine a voi e a quel che potete dare, che diventa un passaggio fondamentale anche per quello che potrete ricevere. Prendete perciò seriamente questo passaggio, perché è uno degli elementi strutturali su cui poi si costruirà il seguito.
Individuato l’essere vivente con cui le cose assieme a voi potrebbero andare al meglio, ci saranno passi successivi variabili a seconda delle strutture, ma preparatevi alla concreta possibilità che la vostra vita venga scandagliata in modo più o meno approfondito, quindi per alcuni anche invasivo, da gente che giustamente collocate tra gli estranei.
Un primo elemento di rassicurazione:
tranquilli, anche voi siete estranei per loro, che però stanno lavorando per far stare bene anche voi da lì in avanti, quindi mollate un po’ e raccontatevi.
Un secondo elemento di rassicurazione:
questi passaggi servono. Cominciare ad avvicinarvi al vostro potenziale nuovo coinquilino potendo usufruire live dei consigli tecnici di gente preparata sul comportamento del cane e sulle vostre interazioni è una ricchezza: non lasciatevela scappare, arricchitevi, imparate, ascoltate, lasciate da parte orgoglio e pregiudizio e pensate a tenere in armonia ragione e sentimento. Entrambe le scelte vi aiuteranno.
Lungo il cammino, le carte “imprevisti e probabilità” da pescare potranno dire un po’ di tutto e anche su questo c’è da essere accoglienti, capendo via via come modificare andatura, passo e direzione a seconda dell’inciampo:
Tra le “invasioni” di cui parlavamo potrebbe esserci (in genere c’è) una parte di indagine riguardante la vostra casa: che spazi avete (quasi mai importano i metri quadri in sé: parliamo di terrazzi, balconi, scale, altri animali, numero di umani in casa, … tanti modi di misurare). Questo potrebbe comportare anche visite a domicilio, per verificare se vada fatto qualche intervento: magari una rete di protezione, la sistemazione di qualche oggetto o mobile per creare una situazione più accogliente o sicura…
Prendete tutto questo per quel che è: nulla di personale, ma solo mettere voi e il futuro coinquilino in condizione di cominciare la nuova vita in modo “safe and sound”.
Sì, ok, avrete la vaghissima sensazione di rappresentare, tra i due esseri viventi in ballo, il soggetto di minor interesse in questi piani di sicurezza e benessere, ma tirate dritto, si fa per il bene di tutti!
Ora c’è il futuro.
Il futuro comincia col viaggio verso casa (se a portarvelo non sarà qualcuno del canile), tragitto lungo il quale starete lì come fessacchiotti ad assicurarvi che non abbia smesso di respirare, che l’avvallamento nell’asfalto appena affrontato non abbia sbalzato la new entry nel ruolo di new exit dal finestrino, che il traffico si sposti al vostro arrivo come foste un corteo presidenziale e altre parallele sobrie aspettative da realizzare.
A casa verrà il bello, e qui invece non si può spoilerare granché, perché sarà tutto un po’ inedito anche per chi l’esperienza l’ha già fatta.
C’è un primo tunnel in cui vi suggeriamo di entrare, perché avendo attenzione e ascolto verso chi è competente se ne esce più consapevoli: sarà la selezione di buon educatori e relativi video esplicativi tra quei sette-otto milioni di tutorial web su come fare qualunque cosa, come non sbagliare qualunque cosa, i sette errori da evitare, le quattordici mosse da conduttore di cani provetto, i ventuno richiami che funzionano, i ventotto che non funzionano, eccetera. Fate, fate. Servirà.
Ed ecco il day by day: primi giorni e notti, ambientamento, orari dei pasti, orari delle uscite, ritmi circadiani, ritmi circa sani (molto circa, inizialmente), relazioni sociali in strada e con gli amici, … In questo costante ma divertente casino cercate di prestare attenzione ad ogni modo in cui il cane si esprimerà: al di là di abbaiare, piangere, scodinzolare (e lì dipende anche dal come!) e altre attività classiche, con un po’ di cura scoprirete già nei primi giorni il modo in cui vorrà farvi delle richieste, esprimere una frustrazione, desiderare una cosa o un’altra, avere un’esigenza… Anche gesti apparentemente casuali, magari, ripetendosi in alcune circostanze, vi insegneranno il suo modo di interagire con voi.
Tutto sarà da capire con un esercizio di conoscenza reciproca.
Ci sono due notizie, una così così e una davvero bella: dovrete farlo insieme, e vorrete farlo insieme.
Insomma: adottare un cane, sì o no?
Ma diamine, son domande da fare agli altri? Che modi!
Fatevi le domande, datevi le risposte, datece retta!
Il nostro grazie va a persone e luoghi incontrati in questo percorso: Fabiana e Gabriele del Canile di Ponte Marconi di Roma, Marta di Associazione Alfa, Claudia ed Eleonora di Associazione Panda.

Ah, già: questa è Alba!

Era il 1904 quando la famiglia Spagnulo aprì la sua bottega, a Salerno. A Via dei Mercanti, inutile dire, in quello che un giorno sarebbe stato chiamato “centro storico” ma che allora era il cuore pulsante della città.
Da romana acquisita quale sono, via dei Mercanti mi rimanda a via dei Giubbonari, via dei Balestrari, via dei Chiodaroli. Quanto mi piacerebbe poter tornare indietro nel tempo, il tanto che serve per vedere quelle strade nel periodo in cui i nomi ne riflettevano la vita reale: il fervere delle attività, il battere dei ferri, il dettaglio di ogni lavorazione, le grida scambiate tra le varie botteghe, le contrattazioni con i clienti.
Fossero stati romani, gli Spagnulo avrebbero senz’altro aperto a via dei Cappellari, poiché anche quello facevano (o meglio avrebbero poi anche fatto, più avanti), cappelli.
Aprirono producendo ventagli: avrei passato le giornate a comprarne, se avessi vissuto allora. Divennero poi anche merceria e cappelleria, e in queste “trasformazioni”, indotte dalle mutate esigenze della clientela, una tappa importante (di cui non ricordo purtroppo i dettagli) si colloca nel 1959, la data riportata nell’attuale insegna del negozio.
L’attività andò subito bene, e continuò ad andare bene per anni, decenni.
Gli attuali titolari, discendenti di ennesima generazione, ce lo raccontano con orgoglio. I vestiti nuovi erano un lusso e una rarità; la normalità era rammendare. Rammendare tutto: dalle calze ai pantaloni alle mutande. Che pare brutto da dire, eppure le portiamo tutti, a parte bizzarre eccezioni.
Sicché, dal momento in cui le serrande si alzavano, era un andirivieni continuo e la giornata era sì faticosa, ma anche rapida a scorrere e soddisfacente dal punto di vista economico.
La bottega degli Spagnulo ha la bellezza di 118 anni: quanta storia, quante storie ha visto, e quanto sono stati bravi loro a trasformarsi man mano che il mercato dava segnali nuovi.
Così, quando via Mercanti è diventata una strada in cui più che i locali passeggiano i turisti, grazie alle loro ormai provatissime doti camaleontiche, gli Spagnulo hanno saputo trovare una nuova formula, che propone prodotti di qualità che ben si prestano anche ad essere un ricordo di viaggio e che insieme restano nel solco della tradizione di famiglia, quello della merceria e della pelletteria.

Esternamente il negozio ricorda fieramente le proprie origini, nell’insegna elegante e nell’aver conservato le porte battenti dal sapore antico. Nel periodo in cui l’ho visitato, a fine giugno, le vetrine esponevano ventagli di legno decorati con motivi ripresi da quadri di artisti tra i più noti (Van Gogh, Klimt, Monet), Frida), ombrellini colorati in modo analogo e articoli di pelletteria adatti anche a chi sia del posto: cinture, portafogli, cappelli e così via.
Essendo io fanatica di ombrellini, ventagli e arte, mi sono catapultata sulla vetrina destra con la stessa eleganza con cui gli orsi si attaccano al miele e le cozze allo scoglio, dopodiché entrare è stato inevitabile.

Mentre sceglievo i 3 ventagli, i due ombrellini e il berretto da comprare (eh, mica potevo uscire a mani vacanti), scambiavamo chiacchiere con i fratelli Spagnulo (fratello e sorella, per essere precisi), che con piacere ci hanno raccontato la bella storia di famiglia di cui sono i testimoni.
Andate da loro e, mi raccomando, salutateceli!
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Si comincia da casa. Dalla propria, dove si è, dove si sta.
Roma.
Oggi è stata passeggiare in centro senza altri obiettivi che un paio di regali, ma è bastata a far trovare bellezza perfino a me, non il più raffinato dei coglitori di cose da saper cogliere.
C’è in questa città uno splendore inconsapevole, una gloria portata come un qualunque zaino. Attraversarla è un film interminabile senza il montaggio, con un’infinità di registi improvvisati a girare esclusivamente la loro scena, lasciando il girato lì in terra. A turisti e distratti sembrerà una dimenticanza, un lavoro mollato a metà; più passa il tempo e più invece mi par di capire che per molti romani funziona così, funziona che lasci lì e magari tanto poi ritrovi, altrimenti pazienza, ci racconteremo che non era poi così importante.
Uno si venderebbe volentieri questa roba per approccio zen, ma è solo sciatteria.
A Roma manca l’aggregazione, mica i punti di aggregazione. La lagna su questo deve finire, e se non finisce è sciocca: abbiamo decine, centinaia di punti di aggregazione, sociali, istituzionali, privati, pubblici, aperti, di nicchia, popolani. Siamo oltretutto gente che da sempre per aggregarsi si è accontentata di prerequisiti minimali, peraltro facendone un vanto: la fraschetta, il bicchiere bevuto assieme, la trattoria, la strada sotto casa prima ancora delle universali piazze, ché a noi già Agorà fa troppo parolone, e poi con la pigrizia media che ci popola cosa arrivi a fare fino in piazza?
Le solitudini che attraversano i marciapiedi sono non numerabili.
Qualcuno sorride, perché c’è ancora chi lo fa, perché qualcuno vuol continuare a farlo a vita, perché qualcuno ci si aggrappa a risalire come fosse l’ultimo dei sorrisi, o il sorriso che ti aggancia ai successivi come una corda da stringere per non precipitare.
Qualche coppia litiga, e pure qui i romani sanno spaziare poco, perché il grosso riguarda disaccordi mainstream su trasposizioni cine-letterarie: le più gettonate sono “non comprate quel cappotto” e “suocere che invitano troppo”, ma non mancano i più variegati sequel di “sorvegliato speciale” con stoccate sullo sguardo in più verso l’indubbiamente attrattivo sedere transitato poco prima e le raffazzonate risposte, che -come ognun sa- quando negano sono false praticamente nella totalità dei casi.
Qui va aperta una necessaria parentesi. I culi si guardano, funziona così e non ha implicazioni. Al più si può avere l’accortezza che solo una coda dell’occhio discreta e accennata può avere, ma l’occhiata è endemica, prescinde, è avulsa, non intacca il presente né il futuro della coppia, non perché detto culo non sia in grado di intaccarla ma perché il maschio quando butta l’occhio non sta di fatto pensando ad altro che a quel curvo presente, non essendo capace di pensare due cose assieme se una è quella, l’unica in grado di occupargli i due slot mentali disponibili. Tranquille, andate benissimo come siete, oppure non andate bene come siete ma non per via di quel sedere. Quand’anche andaste benissimo, oltre che bene, tenete poi conto che avere un Van Gogh in casa non impedisce la partecipata visione di esposizioni pittoriche, mostre, rassegne temporanee, anzi la incoraggia visto che palesemente il Van Gogh in casa denota e certifica la competenza e la capacità critica dell’appassionato. Facciamocene tutti una ragione.
Qualcuno cammina in gruppo, con amici, in quattro o più, anche in un po’ di più; propriamente in comitiva ormai è cosa rara. Ho ricordi da teenager che vedono Via del Corso invasa da comitive, da agglomerati compatti che entrano ed escono dai fast food come un sol uomo ma a pacchi, a ventate, a onde. Adesso è diverso e so che non è solo questione di mia vecchiaia; i gruppi sono più ridotti, c’è forse meno qualcosa e meno qualcos’altro e tutti quei discorsi che questo blog non farà se non di striscio. Perché saprebbe farlo male e perché farà altro.
Perché qui si torna a me, che incontro gente e strada davanti, che nelle solitudini mie o d’altri navigo, che nelle compagnie vivo continuamente, da solo e con loro, che attraverso il cibo, il vino, la birra, la musica, la fotografia incrocio le storie degli altri e la mia, perché mi fa stare bene e magari per raccontarle qui a chi ne vorrà.
Vi dirò di buone cose assaggiate, di posti da vivere e persone da ascoltare; vi manderò una foto, vi racconterò la storia di qualcosa che è positivo e fa bene. Le cose da scartare, quelle un po’ così, quelle da stroncare… non so, non credo che ne parlerò più di poco. Mi interessa sempre meno la polemica e sempre più una qualità di cui poter godere. Al resto gradirei non dare spazio.
Ah, probabilmente il post più pesante di tutti sarà questo.
Alle prossime!
—————–
“E io, tra di voi, …“, direbbe qui Charles, con ogni probabilità.
Non sono più lui, ora sono lei. La “lei di lui”, non in senso di possesso, anche se essere pensata come un Van Gogh non è poi male. In realtà mi sento più un Klimt che amava di molto Dostoevskij e ha tirato fuori una Nuda Veritas meno rossa, sì positiva ma più problematica.
Roma, dice lui. D’altra parte l’idea di questo blog nasce appunto da lui, di cui ‘a capitale vanta i natali. Io mi sono intrufolata in un secondo momento, ma in tempo utile per essere presente sin dal primo post. Via via che me ne parlava, questa sua idea è diventata “nostra”: la immaginavamo nascere e crescere come una creaturina da accudire. D’altra parte perché, dopo essersi entusiasmati – addirittura emozionati – per un vino, un ristorante, una passeggiata, non rendere partecipi della nostra esperienza anche persone in cerca di cose belle? Lui, il mio egli, il mio Steve McCurry, lo definisco da sempre “animale sociale”, ed esserne contagiata è una meraviglia. Sta per suonare l’allarme “romanticherie”, ma non c’è rischio, su questo aspetto ancora non riesce a intaccarmi!
Ci sentirete parlare di cibo, vino, passeggiate, film, fotografia, pittura, libri, Molise e un po’ alla volta scoprirete cosa ci accomuna e su cosa invece ognuno ha interessi più marcati; chi è più rompiscatole in un modo e chi in un altro; se e quanto sappiamo mediare tra noi.
Di certo c’è che speriamo che questo spazio di condivisione amplifichi il nostro benessere, diventando una sorta di diario aperto a chi vorrà leggerlo, e insieme diventi per voi una gradevole lettura e la fonte di qualche dritta, all’insegna del nostro motto: “Dàteme retta!” !