Per rispondere subito alla domanda nel titolo: non lo sappiamo.
C’è però una ricorrenza annuale un’iniziativa che funziona e raccoglie generazioni diverse, locali e turisti, simpatici e gente più particolare in un’unica grande cena socialissima, che per centinaia di metri percorre tutto il centro storico in un rettilineo gastronomico di tavoli, apparecchiati da chi si prenota con tavolo personale preso magari in garage oppure da ristoranti e trattorie che, con le postazioni di fronte al loro ingresso, propongono un menu dedicato.
Una serata decisamente conviviale di cui si parla in dettaglio qui sotto, nell’articolo del blog nostro amico Gomoda.
Roma è faticosa, si dice non a torto, ma offre mille occasioni quotidiane per chi sia curioso di bellezza, cultura, divertimento. Il vino cos’è, se non perlomeno tutte e tre le cose?
Succede poi che, proprio a Roma, tra le moltissime rassegne dedicate al vino ce ne sia una, ormai divenuta di rilevanza anche storica, Vignaioli Naturali a Roma, partita nel 2008 quando abbinare la parola “naturale” al vino non era ancora nemmeno l’inizio di una moda per certi versi ormai tramontata. Stiamo parlando, insomma, di una manifestazione solida e costruita su un’idea di vino e di mercato che prescinde dall’hype che il fenomeno ha vissuto già.
Ok, ma cos’è il vino naturale? (spoiler: di preciso non si sa, ma…)
Cosa cavolo significhi vino naturale è questione che non intendiamo affrontare qui, per via del fatto che fuori da questo blog abbiamo anche una vita; passare un mese a scrivere di semantiche improbabili e non disciplinate sarebbe un esercizio di stile un filino dispendioso rispetto all’utilità che ne avreste in cambio.
Facciamola allora più semplice, anche se ovviamente superficiale: produttori evidentemente non giganteschi e non industriali scelgono di fare vino minimizzando i trattamenti in vigna, per intensità e tipi di sostanze, nonché muovendosi in totale coerenza con la vigna da quando l’uva arriva in cantina a quando diventa un vino pronto per la vendita. Filosofie, approcci e linee di azione (relative anche all’etica, al lavoro, all’ecologia in senso più ampio) assumono a questo punto tratti più o meno marcati e radicali, ma la sintesi è, in sostanza, un processo agricolo e produttivo il più vicino possibile al rispetto di quel che la natura ha fornito.
Che succede in conseguenza? Dal punto di vista delle capacità a produrre, fare vino cosiddetto naturale (lo scrivente preferisce dire artigianale) richiede competenza, bravura e attenzione come (o più) che fare vino “convenzionale”, perché il risultato a produrre in questo modo è un vino che i sognatori amano chiamare “libero”, ma che -detta più asettica- ha subìto meno correzioni di rotta in corsa. Succede quindi che, se il lavoro di viticoltore lo fai in modo approssimativo, il vino sarà pure naturale (e già si potrebbe poi non esser d’accordo sul termine, per motivi talvolta misurabili), ma si collocherà tra l’inutile, l’imbevibile e -nei casi peggiori- il dannoso. Se invece sei bravo, quel vino diventa a suo modo unico, diventa una storia a sé che, per forza di cose, i convenzionali non potranno essere, e che altri artigianali non vorranno essere.
Insomma, qui non si demonizza il vino convenzionale né si santifica quello artigianale, anche perché un vino convenzionale può esser buonissimo e fatto benissimo e il problema del vino per la salute resta largamente l’alcool. Semplicemente, qui ci si diverte molto di più a bere artigianale, perché il vino racconta al naso, in bocca, negli occhi storie più personali, meno codificate.
Più umano, più vero, direbbe il poeta.
Cosa abbiamo assaggiato (spoiler: cose buone, in più casi molto buone)
L’elenco dei produttori comprendeva più di cento nomi, sicché disgraziatamente proprio tutto tutto non s’è potuto provare. Ci si è però trovati assai bene sorseggiando i diversi prodotti che ciascuna di queste cantine qui elencate ha portato:
Nel nostro giro, insomma, son state visitate Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Emilia, Puglia, Piemonte e… Catalogna, appena più lontano.
Molti i rifermentati/ancestrali/pet nat e via dicendo, con produzioni la cui qualità è garantita dal nome Tiziana Gallo, la donna che ha creato la rassegna e portato avanti sempre il tema della qualità a prescindere dal fatto che il naturale fosse fashion. Anche i bianchi macerati hanno avuto largo spazio, com’è normale in questo contesto, e -attenzione attenzione- abbiamo bevuto perfino qualche affinato in barrique di primo passaggio, cosa che invece col contesto ha a che fare ben poco.
Insomma, non che andasse per forza detto, ma bere artigianale dà tanta tanta soddisfazione e gusto, essendo ormai anche piuttosto chiaro e consolidato nel settore che un vino sgradevole ma naturale è sgradevole senza ma; c’è voluto qualche anno, ma il livello medio si è alzato e le discontinuità si sono fortemente ridotte.
Questo specifico evento, peraltro, come abbiamo già detto è da sempre tra quelli che garantiscono un livello qualitativo rassicurante, ma ci ha fatto comunque piacere aver assaggiato solo vini che, per capirci, anche chi non frequenti i naturali può bere senza avere qualche perplessità. Non ce ne vogliano i produttori di valore: intendiamo solo dire che, in questi anni in cui la moda del naturale ha portato ad un’offerta molto variegata, è capitato di bere… diciamo un po’ di tutto, con qualche filosofo anarchico che, per ideologia o anche solo per poca competenza, ha messo in commercio bottiglie con difetti evidenti, vendute comunque al prezzo di vini che i difetti non li hanno.
Ma come va ‘sto mondo del vino? (spoiler: dipende)
Il mercato del vino, per motivazioni che le nostre competenze esporrebbero qui in modo scadente, non se la passa benissimo. La situazione economica (il combinato disposto stipendi bassi-prezzi che salgono) non aiuta affatto. Nel frattempo, oltertutto, quello che non chiameremo storytelling ma che insomma è il modo di proporre il vino sa di vecchio, è spuntato, vende un mondo un po’ pesantone e intellettualoide che, con l’invecchiare di quelli venuti su a degustazioni e corsi per sommelier e l’arrivo di gente più scialla, fa sembrare a questi ultimi la bottiglia di vino come il biglietto da visita di una rottura di maroni, l’ingresso in una stanza polverosa di cimeli da dover riconoscere uno a uno.
I ragazzi -e anche molti “meno ragazzi” ma comunque giovani- vogliono bere per il gusto di farlo in compagnia, ridendo tra una chat e una chiacchiera informale. Sicuramente le pessime robacce zuccherate, una discutibile idea di mixology o le lattine di intrugli con alcool sono il male, ma che l’alternativa proposta finora sia stata l’obbligo morale di intravedere al naso prima del sorso quantomeno due frutti di bosco e un brand esatto di tabacco essiccato al sole in un quartiere di Marrakech non ha propriamente supportato il desiderio di bere un buon vino.
Sono moltissime le persone che chiedono non tanto un vino diverso, ma un modo diverso di fruirne, di usarlo. Rassegne come questa sono il trionfo (qui a livello alto, ma ce ne sono di più pop) di un modo di vivere che pure nel vino porti racconti, storie di artigiani, caratteri e personalità magari non tutte rettilinee ma -ecco il punto- attraenti, intriganti, che ti fanno avvicinare senza esigere Sapienza.
Poi per carità: qualcuno, magari, dopo l’ennesimo assaggio di questo Sabato romano, aveva la faccia e la lucidità di chi avrebbe probabilmente gradito da lì in poi pure il talco mentolato sciolto nell’orzo in tazza grande, ma perché mai il mondo del vino dovrebbe condannarsi da solo ad essere eternamente non democratico? La selezione all’ingresso per censo nozionistico è ben poco lecita e chi è felice ha ragione (se poi cortesemente magari non guida, ecco).
Insomma è andata bene? (spoiler: sì)
Ambiente: l’hotel Excelsior di Via Veneto non abbisogna di introduzioni né descrizioni: è un luogo in cui si vanno a spendere 30 euro perché più di cento produttori in due sale molto belle ti fanno vivere un bel pomeriggio assaggiando vini di livello qualitativo medio certamente rilevante, a prescindere dai gusti personali che fanno preferire questo o quello. Puoi parlare coi produttori e conoscere davvero le storie di una bottiglia, di un’annata, di un terreno, e puoi farlo con uno staff che ha funzionato e un’atmosfera magari anche più pomposa di quel che servirebbe ma che, dài, ti fa dire: perché non viversi qualche ora speciale?
Ci siamo divertiti. Sintetizziamo così com’è giusto e in tema, asciutti e asettici come Vienna talvolta sa essere.
L’arrivo
Dall’aeroporto alla città c’è mezz’oretta di treno. In merito ci sono due possibilità, similmente a Roma, ma con forbice di prezzo più ampia:
un treno da 4.50 euro, chiamato S7
il CAT, avendo necessità o desiderio di metterci dieci minuti in meno e gradendo la sola fermata di arrivo, da 14 euro
Il dilemma non è stato particolarmente dilaniante.
tip 1 di 2: nella hall dell’aeroporto la fila alla biglietteria elettronica farebbe venir voglia di scendere nell’area treni e cercare lì analoga ticket machine. Ecco: fatelo, perché c’è
tip 2 di 2: tendenzialmente
gli S sono treni di superficie, viaggianti talvolta sottoterra
gli U sono treni di sottoterra, viaggianti talvolta in superficie
Com’è fatta?
Una bella fetta di viaggiatori europei conosce questa città, ma non è che qui si rinunci a parlare solo perché voi andate in giro, eh? Quindi, asciugando il tutto fino a realizzare una sintesi di mirabile superficialità, Vienna è un po’ così:
Il centro del centro è interno ad una specie di poligono costituito, in senso orario, da:
Ring (da est a nord)
Donaukanal (un ramo del Danubio che già di suo fa la figura di un fiume nemmeno piccolo). da nord a nord-est
Lungo il Ring, ma anche lungo una sorta di sua corona esterna, ci sono monumenti, palazzi e musei a mazzi, che di fatto estendono il centro
da lì verso l’esterno partono i numerosi quartieri, che in una sorta di spirale a partire dal centro sono denominati con un numero crescente.
Più superficiali di così non siamo riusciti, spiacenti.
tip 1 di 2 su com’è fatta Vienna: non è detto che vi servano abbonamenti ai mezzi pubblici, se amate camminare e vivere a piedi la città, perché Vienna, quantomeno nei suoi quartieri attorno al centro, non è enorme
tip 2 di 2 su com’è fatta Vienna: in inverno è fatta di freddo. Maglia termica sotto al maglione e, volendo, pantaloni termici. Ci ringrazierete
Cosa abbiamo fatto? E visto? E sentito?
Eh ma quante domande…
I nostri cinque giorni qui, tra un freddo pungente, un’umidità indiscreta, qualche fiocco bianco e ventate on the rocks, son passati senza liste delle top N cose da vedere, sicché si è camminato molto e ci si è permessi qualche giro fuori standard.
Per dormire (e cenare a casa, di fatto) abbiamo scelto il quartiere di Wieden, davvero gradevole e poco turistico, ad una passeggiata di distanza dal centro lungo il lato ovest del Castello di Belvedere. La struttura, Pakat Residences, è un palazzo dedicato allo scopo, funzionale, pulito e certamente all’altezza dei severi canoni di Dateme retta.
Musei
A Vienna è un po’ bizzarro fare una vacanza senza visitare nemmeno un museo. C’è un “catalogo” di possibilità davvero imponente. Qualunque ricerca preparatoria di un soggiorno qui vi porterà un elenco che sarà impossibile esaurire nel corso della vacanza. Le nostre scelte, dettate da considerazioni che vi diremo sotto, sono state solo due, in modo da avere altro tempo per conoscere la città anche fuori dal suo centro, seguire altri eventi e godersi una pianificazione non aggressiva. Va aggiunto che, se si è davvero appassionati, ciascuna delle due scelte può richiedere anche una giornata.
Kunsthistorisches Museum Questo a nostro avviso va scelto a prescindere. Collezione magnifica, esposizione di altissimo livello con molta luce naturale, sale funzionalmente pensate per godere delle opere. C’è un bar al centro del museo, che non abbiamo provato ma che è molto bello e fa molto coffee culture viennese
Si visita anche un palazzo con le sue sale, al di là delle molte opere esposte
Si passeggia lungo un grande giardino, peraltro percorribile anche non facendo biglietti
Si visitano tre edifici vivendo tre contesti diversi per ambientazione, mood, esposizione, periodo storico, partendo dal medioevo e arrivando al contemporaneo col Belvedere 21.
Si dice spesso che Vienna è cara. Di sicuro per un italiano non è economica, ma tra ciò che effettivamente costa di più ci sono di certo i biglietti dei musei. Le due visite, in ogni caso, valgono il prezzo.
Chiese
Tante e belle. Ne abbiamo viste alcune e quindi, ovviamente senza pretese di esaustività, vi diciamo di non perdervi queste:
in centro (dentro il Ring, quindi):
San Pietro, praticamente lungo il Graben
Sant’Agostino, alle spalle di Hofburg
San Ruperto, in una piazzetta che è anche un suggestivo ingresso al ghetto ebraico dal fiume
Santa Maria sulla riva (arrivateci da Tiefer Graben per govervi un bel colpo d’occhio)
Sant’Anna, di fronte ad un’uscita laterale del Casinò che, di sera, per via di alcune presenze umane sospette, rende la piccola via un pochino inquietante
Madonna della neve, diciamo non la più bella ma con una personalità e una piazzetta tutta per lei
..ok, ok, anche Santo Stefano che poi è il Duomo, ma che però è anche la meno godibile (leggi: overtourism) nonché quella per cui l’ingresso si paga, al netto di una sosta nell’endonartece. Ad ogni modo, anche il Duomo, visto dall’esterno, è un gran bel vedere.
fuori dal Ring:
la Chiesa Votiva (imponente come il Duomo ma, appunto, meglio godibile e visitabile, con una frazione minimale dei turisti rispetto alla prima)
Santa Maria Ausiliatrice, lungo la strada pedonale omonima, gradevole e dedicata allo shopping dei viennesi, che parte dal Museumquartier
Santa Elisabetta, proprio a Wieden, il nostro quartiere, in una piazzetta piacevolissima con ampi spazi pedonali e punti di ristoro da locals.
Cose belle delle chiese a Vienna: ci sono i fedeli dentro. Pregano pure, e cantano che è un piacere. In ogni chiesa c’è qualcuno seduto in quanto cattolico, più o meno a qualunque ora.
Concerti
Non saremo certo noi a svelarvi che tra Vienna e la musica classica esiste, come dire, una qualche connessione. La cosa si traduce in vario modo nella vita della città: turisticamente, ci sono un museo dedicato, la casa di Mozart, numerose sale e quant’altro, ma molte chiese hanno un loro programma di concerti che raduna anche i cittadini, oltre ai visitatori. Cercate quel che accade in merito durante la vostra permanenza; a noi è andata benissimo nella suddetta chiesa di Sant’Agostino, con una messa parrocchiale che aveva come soundtrack la Messa solenne di Mozart, KV 337.
Quartieri
Tra le bellezze di una vacanza in città ignote c’è, secondo noi, il perdersi tra quartieri “normali”, camminandoci dentro come fossimo tra concittadini in un giorno qualunque, un po’ per vedere di nascosto l’effetto che fa, come diceva il poeta, e un po’ perché è uno dei modi per assorbire realmente qualcosa di autenticamente identitario del luogo.
Spinti da cotanta motivazione anche su Vienna, possiamo dirvi questo:
Centro Bello, certo. Stiamo parlando di Vienna, sicché ritengo impossibile definire oggettivamente meno che bello il suo centro. Quasi interamente pedonalizzato, ricco di viali ben tenuti, pulito, architettonicamente ben fatto (con qualche svarione, ad esempio di fronte al Duomo), interessante se si abbandonano le due vie principali e si gira tra vetrine di piccole gallerie d’arte, pasticcerie sontuose e qualche negozio meno appariscente, carica di fascino in molti scorci e in molte luci… Insomma, sarebbe davvero un centro storico bellissimo se non fosse per questo flusso turistico ormai teleguidato che caratterizza tante città, ne satura in modo non gestito le zone che hanno l’hype del momento e toglie concretamente identità. Un peccato davvero, oltretutto ormai diffuso (in Italia abbiamo come minimo tre casi clinici sul tema), dovuto a stimoli e approcci promozionali mirati alle classifiche, alle top 5 cose da fare, alle prime 3 da non perdere, col risultato che un pellegrinaggio laico ritiene compiuto il viaggio se ha spuntato le voci obbligate di un elenco, come se Vienna o un’altra città fosse il disegno nella Settimana Enigmistica che si vede solo unendo tutti i puntini numerati
Ring certo che non è un quartiere, ma ha una personalità a sé stante, un aplomb, una allure, un qualunque vocabolo francese elegante di vostro gusto, che lo rendono distinguibile. Qui c’è il fluire ininterrotto dei tram, il passo svelto degli indomiti corridori, qualche bici, la solennità di grandi opere come musei, municipio, palazzo imperiale, colonne, porte d’ingresso alla città, teatri, vita centrale e periferica che si incrociano, evidenti come in un aeroporto gigante che vede passare chi parte e chi arriva. C’è il fulcro del movimento di questa città e camminarci dentro, anche senza avere una destinazione precisa, è un’esperienza bella da vivere
Neubau e Laimgrube a “monte” del Museumquartier c’è un distretto che dal centro sale dolcemente e, tra vie e viali, ti porta un po’ a spasso in una città meno austera e seriosa, con una lunga strada pedonale strapiena di negozi un po’ mainstream ma non oppressiva (la suddetta Santa Maria Ausiliatrice, Mariahilferstrasse) e tante vie molto animate dalla quotidianità cittadina
Wieden Il quartiere in cui abbiamo dormito è, nella zona più a est, raffinato, essenziale, di residenze e uffici, con poco commercio e molta tranquillità, tra qualche caffè e bottega elegante, in un’atmosfera molto calma, e si movimenta via via che ci si sposta verso ovest, fino ad arrivare al Naschmarkt, divertente tonnara turistica di ristorantini e banchi alimentari che, nei weekend, prosegue verso sud-ovest con un mercato delle pulci simpatico e fruibile senza paure
Weissgerberviertel La quasi totalità dei turisti ci va per UN SOLO motivo, chiamato Hundertwasserhaus, un condominio di edilizia popolare assolutamente originale che però va visto ignorando il caos che ormai ci si è creato attorno. Il resto del quartiere è molto piacevole e la sensazione è che il suo lato nord, lungo il fiume, d’Estate sia molto vissuto. Torneremo!
Heiligenstadt Se volete vivere la periferia, vedere come siano state concepite nel secondo dopoguerra le case popolari e le loro zone di accesso, fatevi un giro qui, con metro o tram, e su tutto visitate Karl Marx-hof, grande palazzo residenziale con giardino, tram, bus e metro a un palmo, per farvi un’idea su una certa visione del mondo.
Ok, ma per mangiare?
Se già di suo l’italiano può permettersi becere battute da bullo sulle altrui tradizioni culinarie, l’ampiezza di spettro delle proposte gastronomiche austriache non fa che aggravare il problema. Va però condiviso che, quando si nasce nel lato fortunato del mondo, divertirsi col cibo -anziché lamentarsene- è un dovere morale, anche perché, a parte la poca varietà autoctona, qui non si mangia male.
La sintesi di quanto provato:
ristoranti
Cafe Goldegg a Wieden: atmosfera molto viennese, ma più informale che elegante, anche se non manca la persona che si occupa esclusivamente di accogliere e salutare i clienti. Buona esperienza complessiva, ma il suo top anche per vivere un pezzo vero di Vienna sono le colazioni salate
Glacis Beisl a Museumquartier: attenzione, perché qui siamo sostanzialmente al top di quanto abbiamo testato. Ambiente un po’ freddino all’interno ma molto bello nel giardino d’inverno e, con l’immaginazione, anche nel cortile estivo; soprattutto, gli abbiamo conferito il titolo di miglior Schnitzel e miglior goulasch (entrambi da carni bio che avevano il loro sapore a prescindere da quel che gli stava intorno), nonché quello di menu più fantasioso. Bella scelta anche di vini artigianali (con ricarichi che purtroppo restano un problema anche fuori dall’Italia, pare)
Boheme tra Neubau e Museumquartier: la musica lirica è coprotagonista in sottofondo costante per questo ristorante molto molto viennese, con legno alle pareti, menu del giorno assolutamente convenienti e una cucina senza strilli ma solida
Burger Bros “The Mall”: se per qualche motivo siete finiti nel centro commerciale che corrisponde alla frequentatissima stazione Wien Mitte, questo è un posto divertente con un menu sfizioso e buona qualità
Cafe Restaurant Raimund, Museumquartier: anche qui atmosfera molto viennese, un minimo più formale che altrove ma con avventori di varia natura; menu che non si sposta dal solito ma funziona. Menzione per la Sacher
Wiener Cucina, nella zona del Belvedere 21: con l’arte contemporanea una sorta di osteria contemporanea ci sta bene. All’interno del vecchio arsenale, che ora ospita anche un museo, questo posto grazioso e accogliente di fresca apertura ha un menu piuttosto classico e corto, ma anche una gentilezza e un buonumore (le origini napoletane della titolare aiutano indubbiamente) che non troverete spesso altrove. Cortile esterno in cui d’estate dev’essere una gioia mangiare
pasticcerie, forni e caffè
Kleines Cafè: pieno centro. Se vi sta bene il cash only, che a quanto pare qui a Vienna è permesso perché esplicitamente indicato in vetrina, ci troverete un’atmosfera da piccolo pub, raccolta e del tutto informale, ma pure una Sacher notevole
Oberlaa: catena di pasticcerie di cui abbiamo visitato la sede a due passi dal Duomo, con tre piani di tavoli, un ambiente elegante e curato ma non leccato, e con prezzi sensati. Forse il premio Top Sacher va a loro
Offerl: noi abbiam provato quello del link, in centro entrando dalla stazione di Wien Mitte, ma si tratta anche qui di una catena. Se vi sta bene spendere 4.80 per un croissant nel 2025, qui mangerete uno dei migliori a Vienna (il migliore riferito ai nostri rigorosi test)
Backwerk: altra catena, di cui quella nel link è la sede più centrale, nel grande sottopassaggio di Karlsplatz a ridosso dell’uscita per l’Opera. In tantissimi vanno per prendere singoli pezzi da asporto come panini o dolci, ma per quanto ci riguarda il divertimento è stato tutto coi burek, farciti in vario modo. Che significa “non so cos’è un Burek”? Andate in Mitteleuropa e assaggiate, no?
Furgoncini: di tanto in tanto vi capiterà l’equivalente dei vecchi Ape Piaggio aperto da un lato a fare caffè. Ecco: generalmente fanno specialty coffee, quindi sono occasioni per bere un caffè buonissimo (per alcuni gusti magari un po’ radicale) a un prezzo decoroso
supermercati
Billa: molte sedi in giro. Tra i motivi per andarci: ottima scelta su tutto, prezzi buoni, area prodotti freschi in scadenza con sconti (utilissima per noi che facciamo i turisti e non accumuliamo provviste per un mese). Inoltre alcuni hanno un’area food interna con qualche tavolino per un pranzo volante
Spar: altra fascia di prezzo, specie se entrate in quelli marcati Gourmet, però magari salvano la giornata per qualche emergenza
bar Bar? Quali bar?
Stranezze? Particolarità?
Cose peculiari sparse di Vienna winter 2025:
le marmittefetenti In prossimità del Ring attorno al centro viaggiano serenamente, e non solo di tanto in tanto ma frequentemente, auto che fanno una puzza che in Italia si riscontrava attorno al 1981. Ciò accade lungo viali enormi e quindi con auto piuttosto distanti dal marciapiedi, a sua volta enorme anch’esso. Questo per dire che la puzza è proprio rilevante.
Magari ci è andata male con un regolamento municipale che segue il freddo, secondo cui in inverno possono circolare le Euro -1, Euro -2 eccetera. Ahahah, che ridere.
le ciclabili per i runner le ciclabili, naturalmente sparse un po’ ovunque, sono sostanzialmente vuote o percorse talvolta dai rider. Sicuramente in estate sarà tutto molto diverso, ma di gente in giro ce n’era e l’effetto era un po’ strano, anche rispetto ad altri posti in Europa in cui l’inverno non ferma i ciclisti. In compenso sono davvero molti i runner, uomini e donne che, indomiti, attraversano la città come fosse normale farlo correndo a quella temperatura, senza uno straccio di sofferenza nell’espressione.
Forse durante l’attività con vento, freddo e umidità perdono l’articolazione dei muscoli facciali
la vastità del cash-only i negozi totalmente o parzialmente “cash only” non sono pochissimi, visto che parliamo di una importante capitale europea. Per utilizzare paragoni recenti, città decisamente meno grandi e famose come Sofia o Brno sono messe largamente meglio. Diciamo che stupisce, in particolare, leggere questa indicazione anche nelle vetrine di alcuni negozi di rilievo e in pienissimo centro.
Fa un po’ sorridere, questa Vienna anti-capitale che fa una commercialissima offerta a commercialissimi turisti
l’altalenante simpatia L’espansività tricolore, lo sappiamo, può arrivare nella sua genuinità a risultare perfino fastidiosa e invasiva, ok. Non è però praticando comportamenti raggelanti che si arriverà a relazioni equilibrate tra gli esseri umani, ecco. Il grosso dei ristoranti e locali applica una sequenza dimmi-che-ti-serve-ecco-qui-paga-vai, lasciandosi scappare un sorriso se proprio non se ne può fare a meno. C’è una componente tradizionale e culturale che non va nemmeno dibattuta e che vale quanto la nostra, ma l’adozione di un approccio diverso da “ ‘zzo vuoi?” quando si ha a che fare con persone che pagano per un servizio sembrerebbe altrettanto fuori discussione.
Conforta vedere che le esperienze di comunicazione migliori le abbiamo avute coi più giovani
servizio sul conto del ristorante, io e te dobbiamo parlare è vero che esiste nei ristoranti di tante città del mondo, ed è vero che non dobbiamo fare i provinciali, MA:
una voce di conto per il servizio, obbligato a percentuale, significa che lo stipendio al personale di sala lo stiamo pagando noi (com’è normale), ma a parte rispetto ai piatti, sui quali perciò il costo del personale non dovrebbe ricadere. Molti di quei piatti allora diventano cari già per questo
un servizio non obbligato, ma richiesto con una finta domanda è una contraddizione, perché l’aggiunta dipende dalla qualità del servizio ricevuto, e quindi dovrebbe poter valere anche zero se il cliente non si ritiene soddisfatto
Indi?
A chiudere: Vienna è bella, in molti luoghi bellissima. Purtroppo in centro soffre di una malattia comune ai luoghi più visitati di tutta Europa, ma basta fare cento metri in altra direzione e tutto cambia, quindi c’è tanto da vedere. Superate la freddezza di molti dei suoi abitanti e vi godrete un luogo d’arte, architettura e futuri urbani possibili come non ce ne sono moltissimi. Aspettatevi di spendere un po’ più del desiderato ma nulla di drammatico.
Insomma, non è che sia proprio la scoperta del nuovo mondo scriver qui cose belle di una delle città più note e visitate al mondo, ma Dateme retta e andate tranquilli!
Per gli autori di questo blog le vacanze 2023 sono state anche una settimana trascorsa per tre giorni a ridosso di Cortona e per altri quattro a ridosso di Perugia. Tutte giornate costruite per essere riposanti e con ritmi non forzati, quindi senza una cascata interminabile di eventi e luoghi, ma anche caratterizzate da una classica abitudine umana: qualcosa bisogna pur mangiare. E bere.
Sicché…
Giorno 1: Chiusi, Castiglion Fiorentino
La partenza di Sabato da Roma in orario decoroso ci ha consentito di arrivare con un certo anticipo verso Chiusi, per cui… che fai, non esci a Chiusi? Ed eccoci in questo paese che, come altri che visiteremo nei giorni successivi, quest’anno ha un numero di turisti bassino. È sabato, metà mattina, bel tempo, un po’ caldo ma ad un livello sostenibile, eppure noi forestieri a passeggio saremo sì e no una ventina.
La prima sosta è stata per il caffè in un bar che sforna pure pane e pizza sulla piazzetta del Comune. Vocazione turistica del suddetto bar: – Presenza su google maps: no – Presenze nel locale: avventori autoctoni più noi
Piacevole.
Qualche centinaio di metri a spasso e si assaggia la locale focaccia con uvetta in un piccolo panificio. Buona nel sapore, compatta come abbiam visto e vedremo per altre focacce di zona. Vocazione turistica del suddetto panificio: – Presenza su google maps: no – Presenze nel locale: noi
Visita alla Chiesa di Santa Maria Novella ed ecco che arriva il pranzo, e qui le cose si son fatte serie. La scelta è andata su Il grillo è buoncantore (già assaggiato anni prima). Tanta qualità, atmosfera rilassata, cura per il lavoro e chiacchiere coi titolari grazie a (o per colpa di, a seconda dei punti di vista) una giornata poco movimentata.
Si riparte per la destinazione programmata, ma voi se andate a Chiusi non fate come noi che avevamo due ore: ammirate quel che c’è, cioè perlomeno due musei. A noi chiaramente è rimasta in testa quest’ambientazione un po’ vuota e silenziosa, ma siamo sicuri (anche per altri passaggi in loco nitidi nei ricordi) che le cose non vadano sempre così.
Arrivo nelle vicinanze di Cortona. Il luogo prescelto è stato la Locanda del Molino. Ci si sta un gran bene, racchiusi tra un piccolo torrente e la strada provinciale, in un edificio in pietra che ha le camere al piano di sopra e il ristorante al piano di sotto. Il narratore d’esperienza avrebbe qui argomenti e dettagli con cui produrre in affabile eleganza ogni descrizione di dettagli nelle sale, nei corridoi col cotto in terra, nelle… Ma qui funzioniamo talvolta diversamente, sicché trattenete questo: è proprio una locanda, semplice e bella. Avrete questa sensazione e sarà bello viversela così. C’è anche una piscina, con dimensioni e ambientazione perfette per restare nel mood.
Ci si sistema e via verso Castiglion Fiorentino.
Siamo in un paese che, a parte i momenti di festa organizzata, sembra vivere ad una “distanza turistica” da Cortona molto più elevata dei pochi km che le separano: c’è una vitalità tranquilla, manca fortunatamente l’hype modaiolo del negozietto artificioso a tema o la sovrabbondanza di cibo e spritz a caso.
Da vedere: il paese di per sé che è già bellino, la piazza del municipio per la sua bella forma, l’ariosità e il suo magnifico affaccio, la Pinacoteca Comunale, che ospita anche Bartolomeo Della Gatta, e l’area del cassero, anche questa con una vista notevole. Per mangiare qualcosina e bere cose buone c’è Traversa del gusto.
Giorno 2: Cortona
Bella colazione, ascoltando il suono lento e sussurrato del torrente, e si va a Cortona!
Parcheggiare è già esperienza a sé: Cortona è il punto di concentrazione turistica massima in una zona che, per il resto, ha grande tranquillità, sicché bisogna arrivare non troppo a ridosso del pranzo. Riuscire a trovare posto nei parcheggi più vicini al centro è importante non tanto perché il cammino restante sarà in salita senza marciapiedi, ma perché, come abbiamo avuto modo di notare, la modernità dei suddetti piccoli parcheggi, posti lungo i tornanti, decresce in armonia con l’altitudine:
i più mattinieri potranno comodamente pagare con app
la seconda ondata dovrà dotarsi di pazienza perché non tutte le postazioni di pagamento accettano carte
i ritardatari dovranno dotarsi di monete
non abbiamo visto più giù, ma i dormiglioni professionisti credo avranno necessità di portarsi da casa oggetti in disuso per ricavarne qualcosa al baratto
Come al solito la storia di Cortona andate a leggerla da quelli bravi. Qui vi diciamo cos’è che abbiam fatto noi (spoiler: tanta bellezza):
Al MAEC si va spesso per mostre temporanee, ma al di là di queste trovate Signorelli, numerosi oggetti e rinvenimenti etruschi, Severini, una biblioteca settecentesca… insomma, c’è da andare anche senza mostre
Le chiese: belle, ma perlopiù rimaneggiate, ristrutturate, ricostruite eccetera
Ma mangiare e bere? Veramente veramente ci stiamo dimenticando? No, non si scherza su queste cose: Taverna Pane e Vino, su una delle due piazze in cui passerete senza dubbio. Si mangia bene, si sta in un bel posto, si beve in modo divertente
Nel primo pomeriggio addomestichiamo la fase digestiva lungo le molte location ben diffuse della rassegna fotografica estiva Cortona on the move *interessante e fascinosa la scelta dei luoghi espositiv, qualità diciamo non uniforme( e con calma torniamo alla tana: in Locanda si mangia anche, dicevamo, e si mangia bene, sempre col ruscello a far compagnia se si sceglie si star fuori. Anche sul vino si va alla grande, visto che la proprietà è la stessa della cantina Baracchi. L’atmosfera è piacevolmente toscana nel senso più pieno e, direi, vero (i toscani non hanno solo “devastato questo paese” come il grandissimo Stanis LaRochelle denunciava).
Giorno 3: Castiglione del Lago
Castiglione del Lago è un borgo molto grazioso con un… castiglione… che diventa propaggine del borgo dentro l’acqua e praticamente sembra… del lago. Tutto questo spiega molte cose ai più scaltri. Saimo già stati in questi luoghi varie volte in passato, quindi possiamo permetterci di saltare ad esempio la visita al castello di cui sopra e passeggiarci un po’ intorno.
Il grande ed umido caldo non ha aiutato moltissimo, diciamo, e i numerosi nordici che per quel caldo giravano in stato di pre-morte non aiutavano a distrarsi. In sintesi gli aiuti sono mancati. A compensare, buon pranzo anche panoramico (chiedete un tavolo nel giardino) a La Cantina, con ottima anguilla all’amatriciana.
All’amatriciana.
Romani, non fate quella faccia perché vi si vede pure da qui.
Pillola di cultura del giorno: rientrati alla locanda, chiacchierando in piscina con un distributore, scopro che in toscana si fa Gin come se non ci fosse un domani. C’è abbondanza di ginepro e ok, ma la gente si regala i gin come i mazzi di rose. Bon.
Giorno 4: Corciano
Salutiamo la Locanda, in cui siamo stati davvero bene (saluti a Stefano!) e, lungo la strada per Perugia, ci fermiamo a Corciano, perché non la conosciamo e perché ci sono una pala del Perugino e un gonfalone di Bonfigli.
Il paese, la pala e il gonfalone confermano la loro bellezza alla vista. Passeggiare qui è un turismo tranquillo, coi passanti che ti salutano e le piccole vie che mantengono un carattere senza tempo. Si pranza un po’ fuori dal centro a L’utopia, buonissimo ristorantino e bella storia di una coppia (i titolari) che vuole credere ai sogni cercati e faticati. Ci ambientiamo nel comodo e anch’esso piscinoso Hotel Vega, nelle vicinanze di Perugia, e poi andiamo a conoscere un po’ gli scarni dintorni, finendo però benone a mangiare alla vineria La Fraschetta, rilassante e gustosa.
Giorno 5: Perugia
Arrivando a Perugia da Est ci sono buone possibilità, perlomeno in estate, di trovare parcheggio lungo la lunga lunghezza di via Roma, nel nostro caso a ridosso dei Giardini del Frontone. Se volete fare una passeggiatina nel verde entrateci, altrimenti mollate comunque il viale e godetevi Borgo Bello, alias Corso Cavour, e traversine varie col loro fluire di botteghe, bar, ritrovi culturali, … Ne riparliamo più sotto.
Proseguendo fino alla Chiesa di Sant’Ercolano si sale in centro -se non ci siete mai stati dovete rimediare quanto prima- ed è subito GNU, la Galleria Nazionale dell’Umbria, che per un appassionato vero richiede giorni interi di visita. La scelta di esporre per epoche a crescere è appassionante e a modesto avviso di chi scrive funziona benissimo.
Per il pranzo c’è stato, e speriamo ci sia ancora, uno di quei pochi posti che fanno il poke senza imbellettamenti finto-hawaiani e, con tabelle nutrizionali a parete ma senza alcuna pesantezza, invitano a comporre coscienziosamente il pasto. Si chiama Postogiusto e ci si trovano anche panini simpatici e qualche birra artigianale locale. Carino assai, anche per la posizione in piena vitalità perugina.
Giorno 6: Bevagna… e Perugia, a chiudere in gloria
Già arrivare a Bevagna è un bel guardare lungo il tragitto, perché molta della campagna umbra è proprio bella e anche molte zone antropizzate non lo sono in modo invasivo, arrivando agli occhi come un paesaggio morbido e, in fondo, rassicurante. Il paesino è molto godibile nella sua semplicità, con le vie principali, la piazza, la chiesa e i negozietti a mettere assieme in poche centinaia di metri tanti motivi per cui l’Italia è uno splendore costante con poche brusche interruzioni.
Si pranza a Le Barbatelle, minuscolo wine bar molto carino in cui il menu corto e delizioso accompagna belle bottiglie, tra cui molte artigianali.
Ripartendo da Bevagna si va in chiusura di vacanza lungo un festoso crescendo enoico:
nel pomeriggio si fa visita a due realtà locali del vino parecchio diverse per tipologia, produzione e mercato:
Colsanto è una delle proprietà di Livon; gli studiati del vino sanno che si parla di un’azienda dai numeri grandini. Architettura resa intenzionalmente semplice ma cercata, di dettaglio, raffinata dal locale di degustazione alla zona in cui sono state ricavate 5 camere eleganti. Vini assaggiati ovviamente buoni, ma con un’intenzione anche di mercato chiarissima. Va bene così, ché in questo simpatico blog la diatriba naturali-convenzionali non è ritenuta appassionante e ciascuno può andare serenamente a gusto personale, tanto quel che fa male nel vino è l’alcol
Di Filippo non è sul versdante dei naturali ma produce comunque in biologico. Le due cantine sono a pochi minuti di distanza (come molte altre) e secondo noi assaggiare nello stesso giorno due idee differenti di vino è un valore. Sta di fatto che i vini li abbiam comprati qui
Stavolta non ci siamo passati, ma sulla strada tra le due soste fatte c’è anche Tenuta Castelbuono. Vi sarà subito chiara la collocazione di questa cantina tra le due categorie espresse sopra. Non perdetevi degustazione, visita e, se siete astemi ma vi han fatto entrare lo stesso in zona Montefalco, anche la sola vista del Carapace!
in serata, dove incontrare amici storici bellissimi di Perugia se non in un posto bellissimo? Si torna a Borgo Bello, da Sara Boriosi e Giovanni Corazzol, che insieme gestiscono il fantastico Venti Vino. Sì, è un’enoteca con un po’ di cose da mangiare in accompagnamento, e sì, c’è tanta tanta attenzione e cura per far uscir fuori dal bancone cose cercate e mai casuali, ma se non fosse per queste bellissime ragioni sembrerebbe comunque un locale nato per far star bene le persone che lo raggiungono, che ci si incontrano o che ci passano anche solo davanti con la curiosità di osservare
Godetevi una vacxanza in queste zone, dateme retta!
In un gradevole sabato pomeriggio settembrino i vostri eroi del bello e del buono han partecipato ad un evento che può definirsi unico senza la preocupazione di spararla grossa.
Intro – L’orto botanico, Roma, il vigneto Italia
La premessa per contestualizzare l’evento è una parte rilevante dell’evento stesso e porta con sé parecchie cose su cui riflettere.
Il vigneto Italia è un’idea di Luca Maroni, personalità tra le più note nel mondo del vino italiano (a lui si devono le guide “Annuario dei migliori vini italiani“, per esempio, ma anche molte attività che spaziano dalla filosofia produttiva all’analisi sensoriale fino alla divulgazione per diverse tipologie di pubblico). Con la collaborazione dell’Università La Sapienza di Roma, nel 2018 un angolo in disuso del fantastico Orto botanico di Roma, meta sulla cui sottovalutazione andrebbe scritto un libro, è stato scelto per far nascere un unicum in termini di biodiversità: 155 varietà di uve a racchiudere tutta l’Italia in poche centinaia di metri quadri, racchiusi a loro volta tra un tratto di mura aureliane e Trastevere.
Parentesi: Con le vigne circondate da muretti a secco i francesi han tirato fuori la suggestione dei Clos. Andrebbe capito cos’altro serva -oltre ad esistere- all’Italia, o anche solo a Roma, per promuovere qualità e valore quando ad esempio si ha uno straordinario vigneto in centro con “muretti” (aureliani) un filino più vecchiotti. Chiusa parentesi.
Insomma, qualcosa di unico si dice che lo abbiamo spesso a portata di mano senza farci troppo caso; che questo a Roma sia dimostrabile in vario modo è ulteriormente chiarito dal vigneto Italia.
Le viti sono gestite secondo scelte che guardano alla biodinamica; non sappiamo a quali livelli arrivino le pratiche in vigna e probabilmente non si è al cospetto di estremismo da “naturali”, ma insomma siamo oltre il biologico. Direi che qui va bene così, un po’ perché di fatto si tratta di una sorta di museo vivo più che di vigneto appositamente destinato a produrre bottiglie da vendere, un po’ perché tutto intorno non è che si stia proprio a contatto con la più pura delle arie e quindi non complicare ulteriormente le cose mi pare una bella scelta. Naturalmente, negli anni difficili, difficile con questa impostazione è anche far vino, tant’è vero che quest’anno la peronospora qui ha di fatto annullato la produzione. Lo scorso anno invece con l’uva prodotta si è arrivati a 600 bottiglie da mezzo litro, 300 di rosso e 300 di bianco.
Il vino
Eccoci qui, assaggiatori di questo bianco e questo rosso. Diciamo che già al racconto introduttivo capiamo di dover avvicinarci alla degustazione resettando un tot di film mentali che consuetamente partono assaggiando: qui parlare di monovitigno, blend, uvaggi, percentuali, territorio è mancare del tutto il focus, che sta altrove fin dalle fondamenta: 79 vitigni per il bianco, 76 per il rosso, in entrambi i casi includendo tutte le regioni italiane. Per quanto mi riguarda mai bevuto nulla di simile quantomeno per composizione.
Com’è andata?
Fossi stato coinvolto in un indovinello senza conoscere alcunché del vino, per il bianco avrei intuito un sauvignon con un accenno di malvasia, per il rosso una sorta di incontro tra aglianico e barbera con un legno non invasivo ma presente a tenere assieme il tutto. Entrambi con quell’aria un po’ ruffiana che danno intenzionalmente i vini prodotti per restituire piacevolezza ed equilibrio formale, magari a fronte di qualche perdita di personalità. Per quanto mi riguarda, quindi, due vini assolutamente gradevoli, certamente corretti, a cui (qui avrei indovinato ma non avrei mai immaginato il motivo, cioè più di settanta uve in un sorso) manca un po’ la caratterizzazione, la peculiarità che ti fa ricordare una bevuta rispetto ad altre.
Intorno al vino – dal calice al futuro
Un evento del genere, per il pomeriggio in sé e per il progetto di anni che gli sta attorno, rende chiaramente il mio assaggio ancor più irrilevante del solito. I temi, infatti, qui sono davvero tanti e si presentano tutti assieme in un attimo.
Guardiamo anche solo il prodotto finale: si sta dimostrando che, nel centro quasi esatto di una tra le metropoli più rilevanti al mondo, si può fare un ottimo vino, condurre una vigna, farlo con metodi sostenibili.
Da lì però si parte e non si sa dove si possa arrivare.
Roma ha un suo vino. Naturalmente parliamo di un esperimento, di un vino-evento, di un’installazione vivente, perciò il fulcro non lo terrei sul chilometro zero, perché qualche considerazione d’altro tipo viene da sé senza sforzi e non riguarda solo queste due bottiglie stra-ordinarie. Una città che ospiti una degustazione del genere, tra musiche romanesche e venticello, tra agronomi che raccontano il lavoro e passeggiate, tra la ricerca scientifica e una clamorosa galleria d’arte antica affacciata su quella ricerca, è una colossale matrioska di meraviglie consecutive, una valigia dell’attore con mille maschere, un caleidoscopio di cultura, arte, divertimento e curiosità senza pari.
Da troppo vicino certe cose non si vedono bene, si sa. Allora guardiamo dall’alto: un chilometro quadrato -nel centro dei desideri di ogni viaggiatore- contenente un fiume, un colle verdeggiante, la movida, una cucina da godere, piante da tutti i continenti, secoli di pittura eccezionale, una villa che toglie il fiato, una monumentale fontana con un panorama che incanta, chiese e chiostri imperdibili… e ora due vini.
Non esiste nulla di simile al mondo; c’è da far impazzire chiunque cerchi altro da sé.
Qui c’è un futuro da inventare, a vederla in positivo, perché altrimenti, con occhio un po’ critico, proprio all’ingresso di questo miracolo di giardino che ospitava il miracolo dell’evento, turisti ben informati su Roma e su quel che avrebbero voluto vedere in città erano lì a chiedersi se valesse la pena entrare, cosa ci fosse poi di così particolare in un luogo che, sul piano della comunicazione turistica ma anche al cospetto dei suoi concittadini, non sa presentarsi a dovere -e figuriamoci se sappia presentare l’evento, ben organizzato da Senseventi di Francesca Romana Maroni in una due giorni arricchita di banchi d’assaggio, artigianato di qualità, visite guidate e appuntamenti nel parco-.
Il punto, insomma, non mi pare di nicchia né ozioso, né da vincolare all’evento in sé, che però del punto è un rappresentante perfetto. Per chi l’ha visto e per chi non c’era, diceva il poeta.
Per chi l’ha visto
Qui all’orto botanico, in questo pomeriggio è arrivato, entrando senza indugi, chi segue il mondo del vino, chi per caso aveva programmato proprio per quel giorno un bel momento coi figli da far camminare nel verde, chi conosce ed ama quel posto a cui dedica un saluto periodico. Quel che è accaduto, però, per chi l’ha cercato e per chi se lo è fortunosamente trovato, è una sorta di piccola grande celebrazione laica della storia e del futuro di una città che, nelle solitissime mille contraddizioni di cui ama dotarsi da sempre, sembra poter nutrire di bellezza infinite generazioni umane.
Per chi non c’era
Chi non è entrato, con tutta probabilità perché non ne sapeva nulla, ha perso qualcosa di assolutamente unico che, per esser goduto, richiedeva dieci euro, quelli che la metà dei passanti ha speso qualche decina di metri dopo per bere con esiti un po’ diversi per gusto e olfatto. Nulla in (de)merito si può attribuire a un’organizzazione che anzi, lo ribadiamo, ha promosso l’evento con professionalità ed efficacemente; il tema è istituzionale e in molti sensi politico, e riguarda la direzione che si vuol dare al futuro: a quello del turismo urbano, a quello dei cittadini, a quello della città e… al futuro in sé.
Evento splendido. Complimenti a Luca Maroni, narratore non banale e capace di ottenere ascolto da una platea certamente eterogenea, e all’organizzazione.