Come sapete, il nostro blog amico GoModa ci tiene informati su quanto di bello accade in Molise.
Stavolta si è trattato di uno spettacolo teatrale che “sa di territorio”, come un piatto tipico o un paesaggio caratteristico.
Vi lasciamo all’articolo!
Come sapete, il nostro blog amico GoModa ci tiene informati su quanto di bello accade in Molise.
Stavolta si è trattato di uno spettacolo teatrale che “sa di territorio”, come un piatto tipico o un paesaggio caratteristico.
Vi lasciamo all’articolo!
Come ormai sapete , noi di Dateme retta siamo fratellini di Music on TNT, webzine decisamente e tecnicamente storica che su internet da molto tempo racconta di dischi da quando c’erano integralmente al posto dello streaming.
Siccome a vedere ed ascoltare questo straordinario cantautore ci siamo stati ma ne abbiamo scritto li sopra, io direi: andate a leggerci lì sopra!

Amici, lettori e anche te che non ci hai mai calcolati:
sulla nostra webzine amica Music on TNT c’è la recensione del progetto 2024 di Ada Montellanico, grande voce italiana, che col suo Canto Proibito osa e lo fa molto bene.

Amici, come sapete abbiamo una WEBZINE (qualcuno nell’era moderna doveva pur tornare a scriverlo) a cui vogliamo molto bene per vari motivi: si tratta di Music on TNT. Qui dentro scriviamo anche noi e l’avrete notato per qualche link nei mesi adietro.

Ora è il turno di Cecilia Sanchietti, batterista e compositrice che ha dato i natali al suo quinto album Colours.

Leggete qui la nostra recensione!
Eccoci di nuovo a parlar di musica, perfino di alto livello (ché sennò qui manco staremmo a perder tempo nell’ascolto, figuriamoci a scriverne. Siam gente seria).
Su Music on TNT potete leggere lo starter pack per chi voglia conoscere meglio Samuele Bersani, gigantesco cantautore di cui vi raccontiamo le… No, niente, andate a leggere :-).
Ecco qui.

Cari affezionati lettori (se non siete affezionati parliamone, perché la cosa sarebbe invece consigliabile), il vostro blog largamente preferito è stato ad un concerto bello, ricco in grazia e sorrisi, con tanta musicalità e… ninte, la chiudiamo qui ma la riapriamo qui, su Music on TNT: leggete!
Saremo qui brevi: abbiamo visto un concerto davvero notevole di un musicista che… che… ma scusate, sarà mica che non conoscete Jeff Berlin?
Ok, ora lo sapete.
Insomma, vediamo di dar seguito a quanto detto e quindi di esser brevi: c’è una webzine che è nostra amica, ma amica amica, eh? Tant’è vero che uno di noi ci scrive sopra dal 1999… Quando internet era scritto a mano dal monitor di pazienti monaci laici… ok, non staremo a dilungarci su questi aspetti proprio in un articolo che abbiamo introdotto come breve.
A stringere: nella webzine amica amica amica nostra si parla di musica. Nello specifico si parla del concerto che Jeff Berlin ha tenuto a Roma, all’auditorium Parco della musica. Ecco: vi suggeriamo caldamente di leggere com’è andata, soprattutto perché è andata parecchio bene!
Clicca qui per non vincere alcun premio. Garantito. Però cliccando scoprirete un bel posto per conoscere qualche nuovo o vecchio artista in un modo magari diverso dal vostro. Vale sempre la pena, no?
Ah, la webzine amica amica amica nostra si chiama Music on TNT!
Ci sono serate che sono inneschi, ripartenze, passaggi. Complici gli amici più saggi di me, eccomi spettatore di un evento ricorrennte per tutti e per ciascuno unico, un compleanno. La festeggiata è Mariella Nava, autrice, pianista e interprete di cui non occorre qui raccontare il grande valore. I suoi “birthday concert” (non credo che li chiamerebbe così…) sono sere attese e vissute da chi la ama con gioia, trasporto ed entusiasmo riservati solitamente ad artisti più appariscenti o proprio agli amici, quelli storici che abbiamo; l’atmosfera che si è creata -e che immagino felicemente simile nelle feste precedenti- è in sé un ulteriore motivo per esserci e volerci tornare.
Il luogo della festa è un piacevolissimo live club ma anche una piccola ambasciata calabra del cibo a Roma, accogliente e gustosa per simpatia dello staff e… menu: L’asino che vola.

Che bellezza.

Mariella è su un lato del palco, che da destra a sinistra vede lei, la tastiera, Sasà Calabrese al basso elettrico, Salvatore Cauteruccio all’a’accordion e Roberto Guarino alla chitarra acustica. A voler fare il critico musicale una prima bella cosa da dire è che insieme compongono un risultato efficace, compatto, ben suonante nonostante io fossi in una curiosa posizione come alcune foto chiariscono.

Resterei per un attimo ancora sugli aspetti più squisitamente musicali perché questo concerto e questa musicista lo meritano: sono un fessacchiotto, perché da trent’anni circa ogni volta che sento un suo brano ne resto colpito, talvolta affascinato, altre volte emozionato ed altre ancora interessato tecnicamente… e poi mi ritrovo a non aver mai approfondito come mi avrebbe fatto bene fare. Certe sere però sono ripartenze, si diceva, e quindi si fa sempre in tempo, no? Fessacchiotto ma con l’orizzonte davanti, mica robetta.

Dicevo, restando sui contenuti, che a rendere questo concerto vivo e vitale ci sono canzoni -molte ovviamente note a tutti- che arrivano regalando subito la percezione di una sincerità che le guida. Hanno dentro un gusto di scoperta a cercare e trovare dove si può la parola in più, quella magari successiva alla prima ispirazione, che ti fa entrare da una porta non nascosta ma laterale e prendere aria quando sei dentro. C’è tanta tanta tensione verso la melodia e il desiderio di farla viaggiare con le parole urlando dove serve, sorvolando gli accordi dove un ritornello può sembrare vento e farti quasi aprire le braccia mentre lo canti anche tu. E’ una miscela magica che funziona anche per motivi solidi e poco magici (o molto, ma tangibili) come il mestiere di scrivere, l’intenzione costruttiva di giocare con le armonie a portarsele su e giù per sollevare emozioni. Cosa che dal vivo riesce a Mariella in modo davvero diretto, con una voce vicina, calda e attaccata a quel che dice, con un pubblico a conoscerla e festeggiarla in due ore e mezza piene di sorrisi. Lei si sente forse quasi a casa, racconta, scherza, fa scivolare il tempo lungo il piacere di godersi canzoni messe su con cura.

C’è la torta, ci sono gli ospiti ad alternarsi, si tocca la sensazione che tutti, sul palco e sotto, vogliano stare bene prima ancora che ad un concerto. Di live belli o molto belli ne ho visti a dozzine, ma respirare un’aria così buona non è semplice, per cui, mentre ringrazio ancora gli amici saggi che hanno restituito a nuova bella musica un fessacchiotto, ringrazio pure Mariella Nava, che mi ha offerto verità, pienezza, carattere e una fetta di ottima torta.

Che bellezza, dicevo sopra. Adesso pure qui sotto.

Amici che ci leggete un po’ da dove vi pare, siamo stati per voi, per noi, per tutti ad ascoltare uno tra i più famosi trombettisti nazionali (diciamo nei primi tre per fama, dà) all’auditorium Parco della msica di Roma, per un live che era anche la presentazione di un album dedicato a Stevie Wonder, essere superiore che qui pacatamente definiamo senza girarci attorno uno dei più grandi geni della musica popolare.

Sul palco Bosso, come sempre sorridente e comunicativo col pubblico pur nel suo modo tranquillo e misurato, era in versione quartetto + ospite, con Julian Oliver Mazzariello al piano acustico ed elettrico, Jacopo Ferrazza al basso acustico ed elettrico e Nicola Angelucci alla batteria acustica e… no, niente, solo acustica. In più momenti l’ospite di cui sopra ha apportato un contributo notevolissimo in termini di musicalità, ricchezza e colore, e la cosa non stupisce visto che si è trattato di Nico Gori, che al sax e al clarinetto ha dato ancora una volta la prova che, quando dallo strumento si fa uscire musica comunicativa, l’artista può far dimenticare perfino che nel frattempo ha fatto cose tecnicamente rilevantissime, può riuscire a far diluviare applausi per la sua musica e non perché sia un fuoriclasse, nonostante lo sia. Si tratta di una qualità rara ma, forse proprio per questo, fisicamente percepibile quando si manifesta, sempre attraverso le note.

In un’ora e mezza di set le emozioni ovviamente con Stevie Wonder a guidare e questa lineup a suonare non sono mancate; il gruppo ha saputo rendergli omaggio con rispetto anche quando ha scelto di allontanarsi un po’ dal ricordo specchiato dell’originale. Le trasposizioni jazz dalla cosiddetta musica leggera han prodotto sicuramente molta bellezza ma anche un elevato numero di mostriciattoli, perché alterare una materia notissima al pubblico significa camminare sul filo del rasoio e averne consapevolezza è parte del mestiere di “musico”. Qui il livello non lasciava dubbi, ma aver ascoltato la conferma è stato bello.

Qualche perplessità riguarda questioni che in realtà partono paradossalmente proprio dal trovarsi ad ascoltare un bel quartetto che suona compatto e molto piacevolmente: La premessa infatti è assolutamente positiva: Bosso è un fiume di note ma non perde mai la bellezza del timbro, nitido e privo di spigoli se non quando intenzionalmente vuol mordere: Mazzariello ha leggerezza e dinamiche, la sezione ritmica funziona venendo penalizzata solo da un’acustica poco efficace che mette in secondissimo piano il basso e avvicina sonicamente i colpi sul rullante a quelli contro un bidone riverberato. Il punto però non è stato questo inconveniente: il punto è che, un po’ troppo spesso, sia Bosso sia Mazzariello partono da belle idee ma tendono a scivolare in consuetudini, in giochi di scale o frasi ripetute, in pattern melodici su variazioni armoniche, scelte che in qualche caso spostano l’equilibrio dei molti momenti di assolo (non troppi; molti) verso l’esercizio di stile, che -per esser chiari- è pur sempre eseguito a livelli alti, ma rischia di varcare il confine oltre il quale si può diventare leziosi. La cosa, ripeto, dispiace proprio perché il gruppo suona bene insieme, la musica è compositivamente quel che sappiamo e viene trattata con cura… insomma, è una sbavatura che arriva proprio per differenza con quanto il resto fili liscio. In questo senso, come si diceva sopra, Nico Gori aggiunge esattamente qualcosa in direzione opposta, con una intenzione melodica forte al punto da sovrastare le migliaia di quelle stesse note suonate fluide, morbide, con una cifra che per certi aspetti è affine proprio a quella di Bosso, con cui l’incontro ci appare certamente felice.

Si esce contenti, per un live che -al netto delle perplessità esposte- conferma la bravura e il successo meritato di Bosso e di un quartetto che sa stare insieme. Non è certo la prima volta che lo scrivente ascolta il nostro dal vivo, ma la voglia di rivederlo presto ed ascoltare nuova musica resta pulita e certa andando via. Il jazz non è morto come qualcuno dice (magari non se la passa benissimo, ma è questione comune a moltissima altra musica e non ne parleremo qui) e le facce sorridenti in uscita erano davvero tantissime.

Trent’anni. Quelle cose dette così, “trent’anni”, che ti fanno dire cose di una banalità estrema e che quindi non dirò. Trent’anni che è uscito Italyan, Rum Casusu Çikti. Il lasso epocale di tempo che da piccolo misuravo per separare la musica che amavo da Nilla Pizzi mi separa adesso da questa meraviglia che per me è ancora del presente.
Ma dei bias parleremo magari un’altra volta, come pure dei licenziosi avvii di periodo col “ma”.
Conoscevo già Elio e le storie tese, avevo il primo album e li avevo visti live in un teatro tenda di Roma che nemmeno esiste più, ma che per i romani era quello di Renato Zero e per gli italiani quello di Lucio Dalla in Borotalco di Carlo Verdone (“STAI, LUCIO, STAI!” non uscirà mai più dal repertorio comico di chi voglia fare citazioni). I ragazzi erano ovviamente più acerbi, ma che fossero geniali era già evidente, e il seguito di quell’LP di debutto, che era un po’ una raccolta delle prime canzoni fatte negli anni, era atteso da tanti di noi con la curiosità di chi vuol capire se la promessa verrà mantenuta.
L’acquisto in effetti fu immediato all’uscita.

Rocky (il gigantesco Ferruccio Amendola) introduce il coro delle voci bulgare che introduce Servi della gleba, che parte a bomba come fossimo al live di una tribute band dei Toto. Un inizio clamoroso, con dentro il basso a SLAPPARE, coretti scemi, timbri curati e ritornello fichissimo.
Il tutto mi fece subito pensare alla partenza di un mezzo capolavoro.
Che poi non era mezzo.
L’avanspettacolo di Arriva Elio la butta in caciara con l’autopresentazione da teatrino del gruppo, ma si capisce già che, più che alla nuova Alfieri, i nostri vogliono giocare a fare una Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band che la prende a ridere. Infatti arriva Uomini col borsello, e ad accompagnare ci sono nientemeno che i Chieftains, in un crescendo che passa poi per i Pooh, citati dal diretto interessato Riccardo Fogli. I suoni, gli effetti e gli arrangiamenti marcano nel frattempo un notevole salto in avanti rispetto al debutto.
Il vitello dai piedi di balsa è una favola che parte in filastrocca e poi, nel suo drammatizzarsi, comincia a rifinire una delle principali caratteristiche del complessino, in questo suo giocare di contrasti mettendo assieme una forma di sacro e profano che non si accontenta della religione, ma accorpa di tutto col gusto di volerlo fare in modo efficace, che faccia ridere, che funzioni. Ecco che allora, per esempio, tra varie finte zampe arriva la chitarra che cita i Pink Floyd, arriva Enrico Ruggeri che di fatto fa la caricatura di sé, arriva “la pena aggiuntiva” per il vitello mentitore che aprirà un rito ininterrotto, trent’anni di concerti in cui decine di brutte canzoni hanno occupato quei secondi, in uno dei molti momenti che ci ricordano quanto sia stato bello aver avuto in regalo dalla musica Frank Zappa.
Cartoni animati giapponesi diventa, in questa sequenza micidiale, un brano minore suo malgrado, perché quasi qualunque gruppo andrebbe fiero di averlo in repertorio e qui il suo problema è solo l’esser circondato da irresistibili perle, tant’è vero che a seguire, dopo il siparietto di Cinquecento, arriva Supergiovane, capolavoro multistrato tempestato di brillantini che riflette eternità da qualunque lato lo si guardi: testo scoppiettante come la Vespa guidata dal supereroe, una storia epica costruita su minchiate, cambi di atmosfera da suite prog cazzona, un coro gospel per dei botta e risposta velocissimi sul nulla, l’omaggio a Paolo Conte, arrangiamenti fichissimi. Elio e le storie tese fanno sul serio, l’ascolto arriva a questo brano certificando che nella musica italiana è accaduto qualcosa di nuovo che non finirà presto.
Ora: andrebbero snocciolati altri grandi brani che seguono.
Per esempio il grandissimo Pipppero col coro delle voci bulgare (il quale, peraltro, da quel momento avrà in Italia un grande meritato successo a sé offrendo un’esperienza dal vivo eccezionale, come può testimoniare ad esempio lo scrivente). Oppure La vendetta del fantasma formaggino, con Diego Abatantuono che nell’album passa di ruolo da fruttarolo e Dio della barzelletta, tra citazioni d’infanzia e Jesus Christ Superstar.
Siccome però in trent’anni sono uscite tonnellate di recensioni non è che dobbiamo star qui a staccare brani dall’album come piselli dal baccello, quindi chiudo qui questa parte e vado anche un po’ a concludere, così non mi perdete concentrazione: da questo grandioso album in poi è di fatto stata possibile avere a che fare col più grande gruppo italiano dei tre decenni successivi, ma già a volerlo guardare da solo questo disco è tra gli imperdibili della musica italiana.