Villa Tugendhatal a Brno, dal nostro inviato

Si parla di architettura!

Vi ricordate di Brno? Ne abbiamo parlato qui.

Ecco.

A Brno, seconda città per importanza in Repubblica Ceca dopo Praga, c’è una villa che…

No, lasciamo la parola al più autorevole Emilio Zanzi qui

Ultime notizie dal Molise teatrale, che ovviamente esiste

Come sapete, il nostro blog amico GoModa ci tiene informati su quanto di bello accade in Molise.

Stavolta si è trattato di uno spettacolo teatrale che “sa di territorio”, come un piatto tipico o un paesaggio caratteristico.

Vi lasciamo all’articolo!

La niña: da anni una regina del Dateme retta

La seguiamo da tempo perché è brava, davvero brava, e segue un percorso autentico e personale, quando avrebbe carattere, fascino, presenza e voce per mangiarsi palco e pubblico anche a fare un più redditizio pop d’alta classifica.

Bravissima. Lasciamo che a parlarne di più sia il blog nostro amico GoModa:

https://gomoda.me/2025/09/16/la-nina-canta-lamore-per-la-sua-terra-e-la-sua-musica/

Magnastoria 2025, la grande tavolata di Isernia: il Molise che esiste ha un nuovo rito collettivo?

Per rispondere subito alla domanda nel titolo:
non lo sappiamo.

C’è però una ricorrenza annuale un’iniziativa che funziona e raccoglie generazioni diverse, locali e turisti, simpatici e gente più particolare in un’unica grande cena socialissima, che per centinaia di metri percorre tutto il centro storico in un rettilineo gastronomico di tavoli, apparecchiati da chi si prenota con tavolo personale preso magari in garage oppure da ristoranti e trattorie che, con le postazioni di fronte al loro ingresso, propongono un menu dedicato.

Una serata decisamente conviviale di cui si parla in dettaglio qui sotto, nell’articolo del blog nostro amico Gomoda.

Buona lettura!

Adottare un cane: considerazioni non richieste

Prologo

I centoventisei triliardi di percorsi che le nostre vite fanno ci portano talvolta lungo strade che, all’improvviso, diventano bivi. Siccome anche questi sono difficilmente numerabili, abbiam pensato bene di parlare qui di un bivio soltanto, però piuttosto cicciotto.

Domandare a noi stessi se si voglia adottare un cane (non ce ne voglia nessuno: la premessa di questo post è non comprarli ma dare una vita migliore a quelli in canili e rifugi) ha quattro vie principali di uscita:

  • “sì”
  • “no”
  • “uhm”
  • “ma come cavolo mi è venuto in mente anche solo di farmi la domanda”

Un piccolo universo emotivo, pratico, razionale e immaginifico si spalanca da solo appena si varca il perimetro della possibilità.

Naturalmente è perfino ovvio ricordarvi quante decisioni possa comportare una scelta simile rispetto alla vita che avete condotto e che poi condurreste. C’è da pensarci per bene non tanto in termini di tempo per decidere, ma proprio di contenuti da affrontare, quasi tutti con noi stessi.

Bene.

Se state leggendo pure questa riga vuol dire che perlomeno l’ultima delle quattro risposte dovrebbe non appartenervi. Procediamo tra noi rimasti sulla pagina.

Da dove comincio?

Dal canile.
Il vostro comune, direttamente o tramite convenzioni, può indicarvi la struttura a cui rivolgervi. Deve essercene una di riferimento perché, come dice Gemini a cui l’ho appena chiesto, la Legge quadro n. 281 del 14 agosto 1991 sulla prevenzione del randagismo e la tutela degli animali d’affezione impone ai comuni di farsi carico della gestione dei randagi.

Da lì comincia il viaggio vero.
Se non avete ancora considerato qualche aspetto nella vostra testa, è probabile che il questionario di ingresso al canile vi apra nuove domande, con le relative risposte che, affermative o no, lisce o ruvide, immediate o complesse, sarà interessante trovare dentro di voi.

Cosa voglio ricevere? Cosa posso dare?

C’è un primo elemento da affrontare con cura e delicatezza: perimetrare le vostre esigenze non dev’essere un elenco degli sfizi che volete togliervi prendendo un cane, ma nemmeno una lista di sensi di colpa perché moralmente sentite di dover stare a zero pretese.
Premesso che queste esigenze saranno comunque soddisfatte “al meglio possibile” e non “alla perfezione” -come un po’ tutte le cose vere nella vita-, capire approssimativamente che tipo di giorni, mesi e anni volete condividere con l’animale è importante: per mille motivi personali potreste avere poco tempo, o poca possibilità di fare attività molto dinamiche, oppure ancora necessità di un animale tendenzialmente più mansueto o giocoso o esuberante o eccetera.
Ecco, cercate di capirlo perché è bellissimo dare una casa e un “branco” ad un cane di un canile, ma l’importante è far sì che abbia una vita migliore, e siccome quella vita sarà vissuta insieme alla vostra è bene comprendere realisticamente che tipo di esistenza potete offrire e gestire.

Da lì, dalle articolazioni a cui queste domande portano, si arriva con lo staff del canile a immaginare chi tra i cani presenti in struttura possa essere affine a voi e a quel che potete dare, che diventa un passaggio fondamentale anche per quello che potrete ricevere. Prendete perciò seriamente questo passaggio, perché è uno degli elementi strutturali su cui poi si costruirà il seguito.

Gli incontri, l’avvicinamento, le verifiche anche a casa: trafila manichea o roba utile?
(spoiler: la seconda che ho detto)

Individuato l’essere vivente con cui le cose assieme a voi potrebbero andare al meglio, ci saranno passi successivi variabili a seconda delle strutture, ma preparatevi alla concreta possibilità che la vostra vita venga scandagliata in modo più o meno approfondito, quindi per alcuni anche invasivo, da gente che giustamente collocate tra gli estranei.
Un primo elemento di rassicurazione:
tranquilli, anche voi siete estranei per loro, che però stanno lavorando per far stare bene anche voi da lì in avanti, quindi mollate un po’ e raccontatevi.
Un secondo elemento di rassicurazione:
questi passaggi servono. Cominciare ad avvicinarvi al vostro potenziale nuovo coinquilino potendo usufruire live dei consigli tecnici di gente preparata sul comportamento del cane e sulle vostre interazioni è una ricchezza: non lasciatevela scappare, arricchitevi, imparate, ascoltate, lasciate da parte orgoglio e pregiudizio e pensate a tenere in armonia ragione e sentimento. Entrambe le scelte vi aiuteranno.

Lungo il cammino, le carte “imprevisti e probabilità” da pescare potranno dire un po’ di tutto e anche su questo c’è da essere accoglienti, capendo via via come modificare andatura, passo e direzione a seconda dell’inciampo:

  • Voi e il cane potreste nei fatti non rivelarvi come la coppia perfetta che immaginavate, e probabilmente non sarà colpa di nessuno: sì, il cane potrebbe manifestare aspetti inattesi e non facilmente riassorbibili del suo carattere, ma anche voi potreste via via capire meglio qualcosa di voi che magari credevate di conoscere. C’è da lavorarci, insomma. Anche con voi stessi
  • La struttura, anche se assolutamente efficace ed efficiente nell’operato di chi ci lavora, potrebbe non avere, nel periodo della vostra ricerca, un cane “perfetto per voi”. I margini di questa approssimata definizione sono non lineari, ed è quindi possibile che la cosa emerga nel corso degli incontri. Funziona così pure tra esseri umani, d’altra parte, perciò figuriamoci qui
  • in generale, per i motivi suddetti ma anche per altri, si può valutare di comune accordo con la struttura il passaggio ad altri lidi in cerca di soluzioni più adeguate. Ancora una volta non sarà colpa di nessuno ed è così che dovrete viverla. Ci si è provato, non ci si è riusciti, ci si riprova

Tra le “invasioni” di cui parlavamo potrebbe esserci (in genere c’è) una parte di indagine riguardante la vostra casa: che spazi avete (quasi mai importano i metri quadri in sé: parliamo di terrazzi, balconi, scale, altri animali, numero di umani in casa, … tanti modi di misurare). Questo potrebbe comportare anche visite a domicilio, per verificare se vada fatto qualche intervento: magari una rete di protezione, la sistemazione di qualche oggetto o mobile per creare una situazione più accogliente o sicura…
Prendete tutto questo per quel che è: nulla di personale, ma solo mettere voi e il futuro coinquilino in condizione di cominciare la nuova vita in modo “safe and sound”.
Sì, ok, avrete la vaghissima sensazione di rappresentare, tra i due esseri viventi in ballo, il soggetto di minor interesse in questi piani di sicurezza e benessere, ma tirate dritto, si fa per il bene di tutti!

A casa: e ora?

Ora c’è il futuro.

Il futuro comincia col viaggio verso casa (se a portarvelo non sarà qualcuno del canile), tragitto lungo il quale starete lì come fessacchiotti ad assicurarvi che non abbia smesso di respirare, che l’avvallamento nell’asfalto appena affrontato non abbia sbalzato la new entry nel ruolo di new exit dal finestrino, che il traffico si sposti al vostro arrivo come foste un corteo presidenziale e altre parallele sobrie aspettative da realizzare.

A casa verrà il bello, e qui invece non si può spoilerare granché, perché sarà tutto un po’ inedito anche per chi l’esperienza l’ha già fatta.
C’è un primo tunnel in cui vi suggeriamo di entrare, perché avendo attenzione e ascolto verso chi è competente se ne esce più consapevoli: sarà la selezione di buon educatori e relativi video esplicativi tra quei sette-otto milioni di tutorial web su come fare qualunque cosa, come non sbagliare qualunque cosa, i sette errori da evitare, le quattordici mosse da conduttore di cani provetto, i ventuno richiami che funzionano, i ventotto che non funzionano, eccetera. Fate, fate. Servirà.
Ed ecco il day by day: primi giorni e notti, ambientamento, orari dei pasti, orari delle uscite, ritmi circadiani, ritmi circa sani (molto circa, inizialmente), relazioni sociali in strada e con gli amici, … In questo costante ma divertente casino cercate di prestare attenzione ad ogni modo in cui il cane si esprimerà: al di là di abbaiare, piangere, scodinzolare (e lì dipende anche dal come!) e altre attività classiche, con un po’ di cura scoprirete già nei primi giorni il modo in cui vorrà farvi delle richieste, esprimere una frustrazione, desiderare una cosa o un’altra, avere un’esigenza… Anche gesti apparentemente casuali, magari, ripetendosi in alcune circostanze, vi insegneranno il suo modo di interagire con voi.

Tutto sarà da capire con un esercizio di conoscenza reciproca.
Ci sono due notizie, una così così e una davvero bella: dovrete farlo insieme, e vorrete farlo insieme.

Epilogo

Insomma: adottare un cane, sì o no?
Ma diamine, son domande da fare agli altri? Che modi!
Fatevi le domande, datevi le risposte, datece retta!

Il nostro grazie va a persone e luoghi incontrati in questo percorso: Fabiana e Gabriele del Canile di Ponte Marconi di Roma, Marta di Associazione Alfa, Claudia ed Eleonora di Associazione Panda.

Ah, già: questa è Alba!

Grosseto per immagini, 2024

Un weekend di quelli per “staccare”, per cambiare visuale e un po’ pure orizzonte, cercando non lontano da Roma un posto tranquillo e per noi sconosciuto.

Eccolo.

Grosseto è, parlando di centro storico, una cittadina dai confini chiarissimi e netti, costituiti dalle mura bastionate medicee e dai giardini che consentono di percorrerle per intero, lungo l’esagono che appunto cinge il centro.
L’effetto è imponente anche se forse ci sarebbe da lavorare per valorizzare meglio questa costruzione ed il verde che ospita, cosa che tutto sommato si può dire anche del centro stesso.

Grosseto è un bel corso pedonalizzato con negozi, una bella piazza col duomo e i portici… e tante piccole vie intorno, semplici e godibili.

Il turismo non è il punto forte della città, e, se da un lato ne siamo stati contenti per la gradevolezza dei giorni che abbiamo trascorso lì, dall’altro ci chiediamo anche come mai la “porta della maremma” sia tutto sommato socchiusa quanto a promozione turistica, a maggior ragione visto che le cose da fare e vedere per un weekend ci sarebbero.

Con pochi minuti di autobus (e pure qui un minimo di informazione non guasterebbe, perché capire qualcosa sugli orari richiede buona volontà) si arriva a Marina di Grosseto, che non abbiamo visto, e a Castiglione della Pescaia, che abbiamo visto e che ci è piaciuta molto per il suo centro sul mare con negozietti, un esteso lungomare pedonale e una parte storica più in alto piccola e intatta.

Per dormire si sta bene e con ottimo rapporto qualità/prezzo al Grand Hotel Bastiani, che ha pure una sala colazioni bella da vedere e vivere.

Per mangiare diciamo sereni sereni Trattoria dal Nic.

Per una birra buona in ambiente informale e sorridente Birra & basta.

Una chicca da gustare, un po’ nascosta ma con raccolta permanente, mostre temporanee ed eventi culturali, è senz’altro il Polo culturale Le Clarisse.

Abbiamo salutato la città ed un weekend molto piacevole con un caffè al bar della stazione.

La scritta sul muro in sala ve la giriamo come invito e ce la teniamo addosso per i prossimi giri.

Datece retta!

Livorno e Pisa: tre giorni fra un deh e un gao

Che si fa in un bel ponte primaverile partendo da Roma?

Si va a Livorno, per esempio!


Due ore e mezzo di treno anche da Ostiense, con parcheggio comodo a metri dai binari, e via, una robina facile per conoscere una città poco turistica (dati 2025), piuttosto identitaria e che non ti mette l’ansia da prestazione del viaggiatore perfetto, tipo ECCO ORA IN DUE GIORNI DEVO VEDERE ASSOLUTAMENTE QUESTE TREDICI COSE O SONO MORTO: ha le sue cose da fare e vedere, i suoi spazi, … Ti fa dire fra te e te: Tranquillo, te la godi e torni.
Così l’abbiamo immaginata, così è andata. Vediamo come.

Due parole sulla città

Qui sotto mettiamo giusto i fondamentali per inquadrare la geografia della città:

  • – se arrivate col treno siete a est del centro; via Carducci dritti dritti, finite in piazza della Repubblica, enorme e curiosamente vuota, e da lì è centro, una sorta di quasi-pentagono delimitato da fossi (i canali) e mare
  • – a tagliare a metà il centro c’è via Grande, che proprio da piazza della Repubblica arriva est -> ovest al porto
  • – la parte nord del centro è il quartiere Venezia, voluto dai Medici come un sistema di canali a raggiungere botteghe (che hanno comportato l’arrivo di merci, mercanti, famiglie, religioni e culture da ogni dove, a far di Livorno un regno anche attuale della laicità)
  • – la parte su del centro ha il mercato di piazza Cavallotti, all’aperto, e il Mercato Centrale, coperto, che è una meraviglia

Vi raccontiamo Livorno per come l’abbiam vissuta e girata noi, come al solito senza fronzoli verbali, pretese di esaustività, top five e must-see vari.

Giorno 1 – partenza e giustamente pure arrivo

Capitarci il primo Maggio è parecchio simpatico, proprio in senso etimologico. C’è un “cuore comunitario” che, quando si parla di questioni come cacciucco, imprecazioni diciamo colorite, partecipazione sociale e “boia dé”, mette assieme molti livornesi in una cosa sola.
A Fortezza Nuova, di fatto una sorta di isola verde circondata dai fossi del centro (i canali d’acqua, si diceva sopra), il primo Maggio significa aggregazione, musica, mangiare tutti insieme. Tra le bancarelle, le coperte sui prati, le panche accanto coi tavoli, i cani a spasso coi padroni e le birre allegre, noi estranei ci divertiamo e ci stupiamo piacevolmente nel vedere come il live dei Licantropi, IL gruppo popolare di Livorno, sia un coro collettivo sui testi, buffi ed estremamente local, che ti fanno sentire pienamente dentro questa città.
In proposito si tengano a mente i fondamentali: il gatto fa miao, il pisano fa “gao”.

Il cacciucco, piatto scelto per il primo pranzo in questa città, è un divertimento d’altra natura ma con un sapore per certi versi simile, specie mangiandolo in posti frequentati dai residenti. In merito c’è una bella notizia: poiché, come dicevamo sopra, il turismo è molto contenuto, si sta benissimo mangiando ovunque, tra le chiacchiere di chi abita questo posto e atmosfere che sono autentiche e, in senso assolutamente positivo, ingenue nella loro tranquilla quotidianità.
Tenete presente che prenotare nei posti più noti e/o validi resta consigliatissimo, in alcuni casi indispensabile e comunque una scelta positiva perché d’aiuto ai ristoratori.

Il nostro cacciucco, buonissimo, lo abbiamo mangiato da “La vecchia Livorno“, che ci è piaciuto assai anche per atmosfera, servizio e prezzi.

Nel pomeriggio si passeggia un tot: il giorno festivo qui significa negozi perlopiù chiusi e quindi un po’ meno movimento sulla via principale, sicché si gironzola un po’ per la Venezia, il piccolo quartiere che… ah, già, l’abbiamo detto più su (un caffè buono lo fanno all’angolo tra via Strozzi e via della Venezia). Carino, animato la sera dai tanti ristoranti e locali aperti lungo i fossi e rimasto autentico, come del resto tutta la città.

Per stanchezza si mangia a casa, ordinando la pizza da Spicchio di Luna, che fa anche un ottimo impasto integrale. Approfittando proviamo anche la loro torta di ceci, argomento che a Livorno ha una sua specifica sacralità. Ci portano anche il pane che istituzionalmente accompagna la torta di ceci, costituendo con lei il 5e5.
Tutto molto buono.

Giorno 2 – Pisa ma anche cena livornese simpatica

A un quarto d’ora di treno c’è Pisa.
Di treni per Pisa ne hai a bizzeffe.
Ne segue agilmente che pure Aristotele una gitarella da Livorno l’avrebbe fatta.

Quel che si può raccontare sulla rivalità secolare tra pisani e livornesi durerebbe dozzine di righe, sicché evitiamo, ricordandovi però che se volete sondarne le origini trovare in rete di tutto, mentre se volete assaporarne l’attualità dovete leggere un mensile che vi indichiamo un po’ più sotto.

Pisa soffre da tempo di turismo gestito un po’ “meh”.
La faccenda salta agli occhi facilmente vedendo che su tre vie del centro viaggia il 90% abbondante dei turisti. Il contraltare è il vantaggio di lasciare, ai curiosi, spazi, chiese, vicoli, trattorie ed atmosfere decisamente gradevoli anche a cento metri da quel costante flusso.

Capite bene come non abbia alcun senso raccontarvi proprio qui lo scoop di una torre che sta in piedi un po’ curiosamente, di una cattedrale notevole eccetera. Anche in questo caso quindi usciamo dal mainstream globale e torniamo in quello nostro, non mancando però di farvi notare che, guardacaso, quando ci siamo stati noi di Dateme Retta la Torre di Pisa era dritta.

A pranzo abbiamo scelto direi benissimo. La trattoria in cui abbiamo già voglia di tornare è stata Sant’Omobono, in pieno centro ma appena laterale, quindi frequentabile (ma prenotate!).

Si torna, si riposa un po’ per i chilometri fatti e si riparte per il centro, inizialmente superandolo di slancio in bus per arrivare a vedere la Terrazza Mascagni, grande e piacevolissimo affaccio panoramico sul mare appena più a sud.

Voleva essere un aperitivo quello che è subito stato promosso a cena, per quantità e goduriosità, da Signor Nico, proprio sulla rotonda del porto a chiudere via Grande. Le sue schiacciate sono uno dei motivi per cui passare da queste parti, fantasiose e divertenti, e se avete un normale appetito cenate con una di queste.

Giorno 3 – Il centro

Colazione al bar tabacchi, per immergersi appieno in una città che si mostra autentica pressoché ovunque, ad oggi, e che quindi non costringe a rifugiarsi continuamente in angoli di verità, come invece accade ormai in tante capitali del turismo.
Poi passeggiata centrale, fatta di vetrine, cani (un sacco di gente ha il cane, a Livorno). Per assaporare tutto il centro, però, una mattinata non è mattinata senza il mercato di piazza Cavallotti, rumoroso, vitalissimo (perlomeno di sabato) e ricco di tutto, con l’area più classica di frutta e verdura, i chioschi per pane o carne e una zona di vestiti ed altro.
Lì accanto c’è Gagarin, tempio del 5e5 fin troppo frequentato e quindi non visitato causa lunga coda, e c’è il Mercato Centrale -o delle vettovaglie- in tutta la sua imponenza (e bellezza!): banchi di frutta, verdura, carne o pesce, tanti chioschi per il pane, negozietti e un po’ di ristorazione, tutto dentro un’architettura fatta per accogliere ma pure per farsi guardare, con un’allure parigina simpaticamente affiancata a invocazioni che altrove qualcuno definirebbe blasfeme, ma che qui, via, son vissute come un poffarbacco.

Si pranza qui dentro, Alle vettovaglie. Bella scelta di proposte con prodotti di qualità e ambiente ovviamente… di mercato. Si beve bene, oltretutto, con proposte perlopiù di produttori piccoli che il titolare cerca in giro con cura e amore.

Nel pomeriggio il meteo non ha aiutato, sicché il resto delle scoperte è stato un po’ condizionato ma, come dicono quelli seri, abbiamo trasformato il veleno in medicina e quindi, con lunga camminata suddivisa in tappe indoor più o meno forzate dalla pioggia, abbiamo

  • finito il giro esterno intorno a Fortezza Nuova incrociando pure “corsi di gozzo” e imponendoci il passaggio NECESSARIO davanti alla sede storica del Vernacoliere, mensile che a Livorno è un po’ più sacro delle religioni
  • visitato la chiesa di Santa Caterina (che ha una cupola molto bella)
  • raggiunto il Mercato Americano, che nel tempo si è ridotto per dimensioni, ma che ha ancora un suo perché se piace un certo genere di abbigliamento
  • percorso dentro-fuori-sopra-sotto la Fortezza Vecchia
  • gironzolato un po’ per il porto e le sue ramificazioni (diciamo che una sistematina d’insieme potrebbe giovare)
  • guardato, nell’area del cantiere navale, un po’ di vetrine (la pioggia era nella sua fase insistente) e una rassegna temporanea di libri nel molto godibile centro commerciale Porta a Mare, efficace esempio di rifunzionalizzazione che non “sbatte” col contesto ed è molto piacevolmente camminabile senza compressioni claustrofobiche da mall metropolitano

A cena siamo tornati alle Vettovaglie perché siamo stati bene in quell’atmosfera e perché abbiam voluto vivere anche la versione serale del mercato, a banchi chiusi ma con un live set di chitarre e voce ad accompagnare assaggi e bicchieri.

Chiudiamo in gloria con un ponce ben fatto al baretto supertipico lungo la strada verso casa, dove il titolare cinese gestisce alla grandissima un avventore un po’ molesto e due signori locali danno di fatto una mano a tenere il tutto sotto controllo, spostando le loro chiacchiere con birra all’esterno mentre controllano da fuori. Eccezionali ed efficaci, perché il tipo non trova agganci alle sue mezze provocazioni un po’ goffe e torna di fatto innocuo a costo zero.

Piaciuto tutto?

Sì.
Livorno è una città molto gradevole, senza sussulti imponenti se cercate un effetto wow nelle vostre gite, ma con una bella fruibilità di spazi e occasioni.
Quando ci siam capitati noi il Museo Fattori, che a naso va visitato per più ragioni, era in ristrutturazione, quindi del museo non abbiam parlato mica per ignoranza crassa, eh?

Quanto al dormire usciamo un attimo dal contesto: prenotare per una vacanza è diventato -anche a Livorno, ma appunto diremmo pressoché ovunque- tema da famiglie non dico agiate, ma insomma certamente libere dal dover fare i conti con la fine del mese. Su questo c’è qualcosa di strutturale che non torna, ma il tema è enormemente più grande e complesso di questo articolo.

Ultima annotazione felice: questa città è uno dei capoluoghi nazionali della gentilezza. Chiunque abbia scambiato parole con noi ci ha lasciato un’impressione positiva, a prescindere dal fatto che fosse un commerciante, uno interpellato per un’informazione o altro. A sensazione sembra si tratti di un modo d’essere diffuso e spontaneo.

Evviva Livorno, datece retta!

Vignaioli naturali a Roma 2025: dove va il vino (e con chi)

Dove siamo stati
(spoiler: a bere)

Roma è faticosa, si dice non a torto, ma offre mille occasioni quotidiane per chi sia curioso di bellezza, cultura, divertimento.
Il vino cos’è, se non perlomeno tutte e tre le cose?

Succede poi che, proprio a Roma, tra le moltissime rassegne dedicate al vino ce ne sia una, ormai divenuta di rilevanza anche storica, Vignaioli Naturali a Roma, partita nel 2008 quando abbinare la parola “naturale” al vino non era ancora nemmeno l’inizio di una moda per certi versi ormai tramontata.
Stiamo parlando, insomma, di una manifestazione solida e costruita su un’idea di vino e di mercato che prescinde dall’hype che il fenomeno ha vissuto già.

Ok, ma cos’è il vino naturale?
(spoiler: di preciso non si sa, ma…)

Cosa cavolo significhi vino naturale è questione che non intendiamo affrontare qui, per via del fatto che fuori da questo blog abbiamo anche una vita; passare un mese a scrivere di semantiche improbabili e non disciplinate sarebbe un esercizio di stile un filino dispendioso rispetto all’utilità che ne avreste in cambio.

Facciamola allora più semplice, anche se ovviamente superficiale:
produttori evidentemente non giganteschi e non industriali scelgono di fare vino minimizzando i trattamenti in vigna, per intensità e tipi di sostanze, nonché muovendosi in totale coerenza con la vigna da quando l’uva arriva in cantina a quando diventa un vino pronto per la vendita. Filosofie, approcci e linee di azione (relative anche all’etica, al lavoro, all’ecologia in senso più ampio) assumono a questo punto tratti più o meno marcati e radicali, ma la sintesi è, in sostanza, un processo agricolo e produttivo il più vicino possibile al rispetto di quel che la natura ha fornito.

Che succede in conseguenza?
Dal punto di vista delle capacità a produrre, fare vino cosiddetto naturale (lo scrivente preferisce dire artigianale) richiede competenza, bravura e attenzione come (o più) che fare vino “convenzionale”, perché il risultato a produrre in questo modo è un vino che i sognatori amano chiamare “libero”, ma che -detta più asettica- ha subìto meno correzioni di rotta in corsa.
Succede quindi che, se il lavoro di viticoltore lo fai in modo approssimativo, il vino sarà pure naturale (e già si potrebbe poi non esser d’accordo sul termine, per motivi talvolta misurabili), ma si collocherà tra l’inutile, l’imbevibile e -nei casi peggiori- il dannoso.
Se invece sei bravo, quel vino diventa a suo modo unico, diventa una storia a sé che, per forza di cose, i convenzionali non potranno essere, e che altri artigianali non vorranno essere.

Insomma, qui non si demonizza il vino convenzionale né si santifica quello artigianale, anche perché un vino convenzionale può esser buonissimo e fatto benissimo e il problema del vino per la salute resta largamente l’alcool. Semplicemente, qui ci si diverte molto di più a bere artigianale, perché il vino racconta al naso, in bocca, negli occhi storie più personali, meno codificate.

Più umano, più vero, direbbe il poeta.

Cosa abbiamo assaggiato
(spoiler: cose buone, in più casi molto buone)

L’elenco dei produttori comprendeva più di cento nomi, sicché disgraziatamente proprio tutto tutto non s’è potuto provare.
Ci si è però trovati assai bene sorseggiando i diversi prodotti che ciascuna di queste cantine qui elencate ha portato:

Nel nostro giro, insomma, son state visitate Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Emilia, Puglia, Piemonte e… Catalogna, appena più lontano.

Molti i rifermentati/ancestrali/pet nat e via dicendo, con produzioni la cui qualità è garantita dal nome Tiziana Gallo, la donna che ha creato la rassegna e portato avanti sempre il tema della qualità a prescindere dal fatto che il naturale fosse fashion. Anche i bianchi macerati hanno avuto largo spazio, com’è normale in questo contesto, e -attenzione attenzione- abbiamo bevuto perfino qualche affinato in barrique di primo passaggio, cosa che invece col contesto ha a che fare ben poco.

Insomma, non che andasse per forza detto, ma bere artigianale dà tanta tanta soddisfazione e gusto, essendo ormai anche piuttosto chiaro e consolidato nel settore che un vino sgradevole ma naturale è sgradevole senza ma; c’è voluto qualche anno, ma il livello medio si è alzato e le discontinuità si sono fortemente ridotte.

Questo specifico evento, peraltro, come abbiamo già detto è da sempre tra quelli che garantiscono un livello qualitativo rassicurante, ma ci ha fatto comunque piacere aver assaggiato solo vini che, per capirci, anche chi non frequenti i naturali può bere senza avere qualche perplessità.
Non ce ne vogliano i produttori di valore: intendiamo solo dire che, in questi anni in cui la moda del naturale ha portato ad un’offerta molto variegata, è capitato di bere… diciamo un po’ di tutto, con qualche filosofo anarchico che, per ideologia o anche solo per poca competenza, ha messo in commercio bottiglie con difetti evidenti, vendute comunque al prezzo di vini che i difetti non li hanno.

Ma come va ‘sto mondo del vino?
(spoiler: dipende)

Il mercato del vino, per motivazioni che le nostre competenze esporrebbero qui in modo scadente, non se la passa benissimo.
La situazione economica (il combinato disposto stipendi bassi-prezzi che salgono) non aiuta affatto. Nel frattempo, oltertutto, quello che non chiameremo storytelling ma che insomma è il modo di proporre il vino sa di vecchio, è spuntato, vende un mondo un po’ pesantone e intellettualoide che, con l’invecchiare di quelli venuti su a degustazioni e corsi per sommelier e l’arrivo di gente più scialla, fa sembrare a questi ultimi la bottiglia di vino come il biglietto da visita di una rottura di maroni, l’ingresso in una stanza polverosa di cimeli da dover riconoscere uno a uno.

I ragazzi -e anche molti “meno ragazzi” ma comunque giovani- vogliono bere per il gusto di farlo in compagnia, ridendo tra una chat e una chiacchiera informale.
Sicuramente le pessime robacce zuccherate, una discutibile idea di mixology o le lattine di intrugli con alcool sono il male, ma che l’alternativa proposta finora sia stata l’obbligo morale di intravedere al naso prima del sorso quantomeno due frutti di bosco e un brand esatto di tabacco essiccato al sole in un quartiere di Marrakech non ha propriamente supportato il desiderio di bere un buon vino.

Sono moltissime le persone che chiedono non tanto un vino diverso, ma un modo diverso di fruirne, di usarlo. Rassegne come questa sono il trionfo (qui a livello alto, ma ce ne sono di più pop) di un modo di vivere che pure nel vino porti racconti, storie di artigiani, caratteri e personalità magari non tutte rettilinee ma -ecco il punto- attraenti, intriganti, che ti fanno avvicinare senza esigere Sapienza.

Poi per carità: qualcuno, magari, dopo l’ennesimo assaggio di questo Sabato romano, aveva la faccia e la lucidità di chi avrebbe probabilmente gradito da lì in poi pure il talco mentolato sciolto nell’orzo in tazza grande, ma perché mai il mondo del vino dovrebbe condannarsi da solo ad essere eternamente non democratico? La selezione all’ingresso per censo nozionistico è ben poco lecita e chi è felice ha ragione (se poi cortesemente magari non guida, ecco).

Insomma è andata bene?
(spoiler: sì)

Ambiente: l’hotel Excelsior di Via Veneto non abbisogna di introduzioni né descrizioni: è un luogo in cui si vanno a spendere 30 euro perché più di cento produttori in due sale molto belle ti fanno vivere un bel pomeriggio assaggiando vini di livello qualitativo medio certamente rilevante, a prescindere dai gusti personali che fanno preferire questo o quello.
Puoi parlare coi produttori e conoscere davvero le storie di una bottiglia, di un’annata, di un terreno, e puoi farlo con uno staff che ha funzionato e un’atmosfera magari anche più pomposa di quel che servirebbe ma che, dài, ti fa dire: perché non viversi qualche ora speciale?

Dateme retta…

Vienna d’Inverno

(ultima visista: gennaio 2025)

Ci siamo divertiti.
Sintetizziamo così com’è giusto e in tema, asciutti e asettici come Vienna talvolta sa essere.

L’arrivo

Dall’aeroporto alla città c’è mezz’oretta di treno. In merito ci sono due possibilità, similmente a Roma, ma con forbice di prezzo più ampia:

  • un treno da 4.50 euro, chiamato S7
  • il CAT, avendo necessità o desiderio di metterci dieci minuti in meno e gradendo la sola fermata di arrivo, da 14 euro

Il dilemma non è stato particolarmente dilaniante.

  • tip 1 di 2: nella hall dell’aeroporto la fila alla biglietteria elettronica farebbe venir voglia di scendere nell’area treni e cercare lì analoga ticket machine. Ecco: fatelo, perché c’è
  • tip 2 di 2: tendenzialmente
    • gli S sono treni di superficie, viaggianti talvolta sottoterra
    • gli U sono treni di sottoterra, viaggianti talvolta in superficie

Com’è fatta?

Una bella fetta di viaggiatori europei conosce questa città, ma non è che qui si rinunci a parlare solo perché voi andate in giro, eh? Quindi, asciugando il tutto fino a realizzare una sintesi di mirabile superficialità, Vienna è un po’ così:

  • Il centro del centro è interno ad una specie di poligono costituito, in senso orario, da:
    • Ring (da est a nord)
    • Donaukanal (un ramo del Danubio che già di suo fa la figura di un fiume nemmeno piccolo). da nord a nord-est
  • Lungo il Ring, ma anche lungo una sorta di sua corona esterna, ci sono monumenti, palazzi e musei a mazzi, che di fatto estendono il centro
  • da lì verso l’esterno partono i numerosi quartieri, che in una sorta di spirale a partire dal centro sono denominati con un numero crescente.

Più superficiali di così non siamo riusciti, spiacenti.

  • tip 1 di 2 su com’è fatta Vienna: non è detto che vi servano abbonamenti ai mezzi pubblici, se amate camminare e vivere a piedi la città, perché Vienna, quantomeno nei suoi quartieri attorno al centro, non è enorme
  • tip 2 di 2 su com’è fatta Vienna: in inverno è fatta di freddo. Maglia termica sotto al maglione e, volendo, pantaloni termici. Ci ringrazierete

Cosa abbiamo fatto? E visto? E sentito?

Eh ma quante domande…

I nostri cinque giorni qui, tra un freddo pungente, un’umidità indiscreta, qualche fiocco bianco e ventate on the rocks, son passati senza liste delle top N cose da vedere, sicché si è camminato molto e ci si è permessi qualche giro fuori standard.

Per dormire (e cenare a casa, di fatto) abbiamo scelto il quartiere di Wieden, davvero gradevole e poco turistico, ad una passeggiata di distanza dal centro lungo il lato ovest del Castello di Belvedere. La struttura, Pakat Residences, è un palazzo dedicato allo scopo, funzionale, pulito e certamente all’altezza dei severi canoni di Dateme retta.

Musei

A Vienna è un po’ bizzarro fare una vacanza senza visitare nemmeno un museo. C’è un “catalogo” di possibilità davvero imponente. Qualunque ricerca preparatoria di un soggiorno qui vi porterà un elenco che sarà impossibile esaurire nel corso della vacanza.
Le nostre scelte, dettate da considerazioni che vi diremo sotto, sono state solo due, in modo da avere altro tempo per conoscere la città anche fuori dal suo centro, seguire altri eventi e godersi una pianificazione non aggressiva. Va aggiunto che, se si è davvero appassionati, ciascuna delle due scelte può richiedere anche una giornata.

  • Kunsthistorisches Museum
    Questo a nostro avviso va scelto a prescindere. Collezione magnifica, esposizione di altissimo livello con molta luce naturale, sale funzionalmente pensate per godere delle opere. C’è un bar al centro del museo, che non abbiamo provato ma che è molto bello e fa molto coffee culture viennese
  • Castello del Belvedere
    Qui la situazione è diversa.
    • Si visita anche un palazzo con le sue sale, al di là delle molte opere esposte
    • Si passeggia lungo un grande giardino, peraltro percorribile anche non facendo biglietti
    • Si visitano tre edifici vivendo tre contesti diversi per ambientazione, mood, esposizione, periodo storico, partendo dal medioevo e arrivando al contemporaneo col Belvedere 21.

Si dice spesso che Vienna è cara. Di sicuro per un italiano non è economica, ma tra ciò che effettivamente costa di più ci sono di certo i biglietti dei musei. Le due visite, in ogni caso, valgono il prezzo.

Chiese

Tante e belle. Ne abbiamo viste alcune e quindi, ovviamente senza pretese di esaustività, vi diciamo di non perdervi queste:

  • in centro (dentro il Ring, quindi):
    • San Pietro, praticamente lungo il Graben
    • Sant’Agostino, alle spalle di Hofburg
    • San Ruperto, in una piazzetta che è anche un suggestivo ingresso al ghetto ebraico dal fiume
    • Santa Maria sulla riva (arrivateci da Tiefer Graben per govervi un bel colpo d’occhio)
    • Sant’Anna, di fronte ad un’uscita laterale del Casinò che, di sera, per via di alcune presenze umane sospette, rende la piccola via un pochino inquietante
    • Madonna della neve, diciamo non la più bella ma con una personalità e una piazzetta tutta per lei
    • ..ok, ok, anche Santo Stefano che poi è il Duomo, ma che però è anche la meno godibile (leggi: overtourism) nonché quella per cui l’ingresso si paga, al netto di una sosta nell’endonartece. Ad ogni modo, anche il Duomo, visto dall’esterno, è un gran bel vedere.
  • fuori dal Ring:
    • la Chiesa Votiva (imponente come il Duomo ma, appunto, meglio godibile e visitabile, con una frazione minimale dei turisti rispetto alla prima)
    • Santa Maria Ausiliatrice, lungo la strada pedonale omonima, gradevole e dedicata allo shopping dei viennesi, che parte dal Museumquartier
    • Santa Elisabetta, proprio a Wieden, il nostro quartiere, in una piazzetta piacevolissima con ampi spazi pedonali e punti di ristoro da locals.

Cose belle delle chiese a Vienna: ci sono i fedeli dentro. Pregano pure, e cantano che è un piacere. In ogni chiesa c’è qualcuno seduto in quanto cattolico, più o meno a qualunque ora.

Concerti

Non saremo certo noi a svelarvi che tra Vienna e la musica classica esiste, come dire, una qualche connessione. La cosa si traduce in vario modo nella vita della città: turisticamente, ci sono un museo dedicato, la casa di Mozart, numerose sale e quant’altro, ma molte chiese hanno un loro programma di concerti che raduna anche i cittadini, oltre ai visitatori. Cercate quel che accade in merito durante la vostra permanenza; a noi è andata benissimo nella suddetta chiesa di Sant’Agostino, con una messa parrocchiale che aveva come soundtrack la Messa solenne di Mozart, KV 337.

Quartieri

Tra le bellezze di una vacanza in città ignote c’è, secondo noi, il perdersi tra quartieri “normali”, camminandoci dentro come fossimo tra concittadini in un giorno qualunque, un po’ per vedere di nascosto l’effetto che fa, come diceva il poeta, e un po’ perché è uno dei modi per assorbire realmente qualcosa di autenticamente identitario del luogo.

Spinti da cotanta motivazione anche su Vienna, possiamo dirvi questo:

  • Centro
    Bello, certo.
    Stiamo parlando di Vienna, sicché ritengo impossibile definire oggettivamente meno che bello il suo centro.
    Quasi interamente pedonalizzato, ricco di viali ben tenuti, pulito, architettonicamente ben fatto (con qualche svarione, ad esempio di fronte al Duomo), interessante se si abbandonano le due vie principali e si gira tra vetrine di piccole gallerie d’arte, pasticcerie sontuose e qualche negozio meno appariscente, carica di fascino in molti scorci e in molte luci…
    Insomma, sarebbe davvero un centro storico bellissimo se non fosse per questo flusso turistico ormai teleguidato che caratterizza tante città, ne satura in modo non gestito le zone che hanno l’hype del momento e toglie concretamente identità. Un peccato davvero, oltretutto ormai diffuso (in Italia abbiamo come minimo tre casi clinici sul tema), dovuto a stimoli e approcci promozionali mirati alle classifiche, alle top 5 cose da fare, alle prime 3 da non perdere, col risultato che un pellegrinaggio laico ritiene compiuto il viaggio se ha spuntato le voci obbligate di un elenco, come se Vienna o un’altra città fosse il disegno nella Settimana Enigmistica che si vede solo unendo tutti i puntini numerati
  • Ring
    certo che non è un quartiere, ma ha una personalità a sé stante, un aplomb, una allure, un qualunque vocabolo francese elegante di vostro gusto, che lo rendono distinguibile. Qui c’è il fluire ininterrotto dei tram, il passo svelto degli indomiti corridori, qualche bici, la solennità di grandi opere come musei, municipio, palazzo imperiale, colonne, porte d’ingresso alla città, teatri, vita centrale e periferica che si incrociano, evidenti come in un aeroporto gigante che vede passare chi parte e chi arriva. C’è il fulcro del movimento di questa città e camminarci dentro, anche senza avere una destinazione precisa, è un’esperienza bella da vivere
  • Neubau e Laimgrube
    a “monte” del Museumquartier c’è un distretto che dal centro sale dolcemente e, tra vie e viali, ti porta un po’ a spasso in una città meno austera e seriosa, con una lunga strada pedonale strapiena di negozi un po’ mainstream ma non oppressiva (la suddetta Santa Maria Ausiliatrice, Mariahilferstrasse) e tante vie molto animate dalla quotidianità cittadina
  • Wieden
    Il quartiere in cui abbiamo dormito è, nella zona più a est, raffinato, essenziale, di residenze e uffici, con poco commercio e molta tranquillità, tra qualche caffè e bottega elegante, in un’atmosfera molto calma, e si movimenta via via che ci si sposta verso ovest, fino ad arrivare al Naschmarkt, divertente tonnara turistica di ristorantini e banchi alimentari che, nei weekend, prosegue verso sud-ovest con un mercato delle pulci simpatico e fruibile senza paure
  • Weissgerberviertel
    La quasi totalità dei turisti ci va per UN SOLO motivo, chiamato Hundertwasserhaus, un condominio di edilizia popolare assolutamente originale che però va visto ignorando il caos che ormai ci si è creato attorno. Il resto del quartiere è molto piacevole e la sensazione è che il suo lato nord, lungo il fiume, d’Estate sia molto vissuto. Torneremo!
  • Heiligenstadt
    Se volete vivere la periferia, vedere come siano state concepite nel secondo dopoguerra le case popolari e le loro zone di accesso, fatevi un giro qui, con metro o tram, e su tutto visitate Karl Marx-hof, grande palazzo residenziale con giardino, tram, bus e metro a un palmo, per farvi un’idea su una certa visione del mondo.

Ok, ma per mangiare?

Se già di suo l’italiano può permettersi becere battute da bullo sulle altrui tradizioni culinarie, l’ampiezza di spettro delle proposte gastronomiche austriache non fa che aggravare il problema. Va però condiviso che, quando si nasce nel lato fortunato del mondo, divertirsi col cibo -anziché lamentarsene- è un dovere morale, anche perché, a parte la poca varietà autoctona, qui non si mangia male.

La sintesi di quanto provato:

  • ristoranti
    • Cafe Goldegg a Wieden: atmosfera molto viennese, ma più informale che elegante, anche se non manca la persona che si occupa esclusivamente di accogliere e salutare i clienti. Buona esperienza complessiva, ma il suo top anche per vivere un pezzo vero di Vienna sono le colazioni salate
    • Glacis Beisl a Museumquartier: attenzione, perché qui siamo sostanzialmente al top di quanto abbiamo testato. Ambiente un po’ freddino all’interno ma molto bello nel giardino d’inverno e, con l’immaginazione, anche nel cortile estivo; soprattutto, gli abbiamo conferito il titolo di miglior Schnitzel e miglior goulasch (entrambi da carni bio che avevano il loro sapore a prescindere da quel che gli stava intorno), nonché quello di menu più fantasioso. Bella scelta anche di vini artigianali (con ricarichi che purtroppo restano un problema anche fuori dall’Italia, pare)
    • Boheme tra Neubau e Museumquartier: la musica lirica è coprotagonista in sottofondo costante per questo ristorante molto molto viennese, con legno alle pareti, menu del giorno assolutamente convenienti e una cucina senza strilli ma solida
    • Burger Bros “The Mall”: se per qualche motivo siete finiti nel centro commerciale che corrisponde alla frequentatissima stazione Wien Mitte, questo è un posto divertente con un menu sfizioso e buona qualità
    • Cafe Restaurant Raimund, Museumquartier: anche qui atmosfera molto viennese, un minimo più formale che altrove ma con avventori di varia natura; menu che non si sposta dal solito ma funziona. Menzione per la Sacher
    • Wiener Cucina, nella zona del Belvedere 21: con l’arte contemporanea una sorta di osteria contemporanea ci sta bene. All’interno del vecchio arsenale, che ora ospita anche un museo, questo posto grazioso e accogliente di fresca apertura ha un menu piuttosto classico e corto, ma anche una gentilezza e un buonumore (le origini napoletane della titolare aiutano indubbiamente) che non troverete spesso altrove. Cortile esterno in cui d’estate dev’essere una gioia mangiare
  • pasticcerie, forni e caffè
    • Kleines Cafè: pieno centro. Se vi sta bene il cash only, che a quanto pare qui a Vienna è permesso perché esplicitamente indicato in vetrina, ci troverete un’atmosfera da piccolo pub, raccolta e del tutto informale, ma pure una Sacher notevole
    • Oberlaa: catena di pasticcerie di cui abbiamo visitato la sede a due passi dal Duomo, con tre piani di tavoli, un ambiente elegante e curato ma non leccato, e con prezzi sensati. Forse il premio Top Sacher va a loro
    • Offerl: noi abbiam provato quello del link, in centro entrando dalla stazione di Wien Mitte, ma si tratta anche qui di una catena. Se vi sta bene spendere 4.80 per un croissant nel 2025, qui mangerete uno dei migliori a Vienna (il migliore riferito ai nostri rigorosi test)
    • Backwerk: altra catena, di cui quella nel link è la sede più centrale, nel grande sottopassaggio di Karlsplatz a ridosso dell’uscita per l’Opera. In tantissimi vanno per prendere singoli pezzi da asporto come panini o dolci, ma per quanto ci riguarda il divertimento è stato tutto coi burek, farciti in vario modo.
      Che significa “non so cos’è un Burek”? Andate in Mitteleuropa e assaggiate, no?
    • Furgoncini: di tanto in tanto vi capiterà l’equivalente dei vecchi Ape Piaggio aperto da un lato a fare caffè. Ecco: generalmente fanno specialty coffee, quindi sono occasioni per bere un caffè buonissimo (per alcuni gusti magari un po’ radicale) a un prezzo decoroso
  • supermercati
    • Billa: molte sedi in giro. Tra i motivi per andarci: ottima scelta su tutto, prezzi buoni, area prodotti freschi in scadenza con sconti (utilissima per noi che facciamo i turisti e non accumuliamo provviste per un mese). Inoltre alcuni hanno un’area food interna con qualche tavolino per un pranzo volante
    • Spar: altra fascia di prezzo, specie se entrate in quelli marcati Gourmet, però magari salvano la giornata per qualche emergenza
  • bar
    Bar? Quali bar?

Stranezze? Particolarità?

Cose peculiari sparse di Vienna winter 2025:

  • le marmitte fetenti
    In prossimità del Ring attorno al centro viaggiano serenamente, e non solo di tanto in tanto ma frequentemente, auto che fanno una puzza che in Italia si riscontrava attorno al 1981. Ciò accade lungo viali enormi e quindi con auto piuttosto distanti dal marciapiedi, a sua volta enorme anch’esso. Questo per dire che la puzza è proprio rilevante.

    Magari ci è andata male con un regolamento municipale che segue il freddo, secondo cui in inverno possono circolare le Euro -1, Euro -2 eccetera. Ahahah, che ridere.
  • le ciclabili per i runner
    le ciclabili, naturalmente sparse un po’ ovunque, sono sostanzialmente vuote o percorse talvolta dai rider. Sicuramente in estate sarà tutto molto diverso, ma di gente in giro ce n’era e l’effetto era un po’ strano, anche rispetto ad altri posti in Europa in cui l’inverno non ferma i ciclisti.
    In compenso sono davvero molti i runner, uomini e donne che, indomiti, attraversano la città come fosse normale farlo correndo a quella temperatura, senza uno straccio di sofferenza nell’espressione.

    Forse durante l’attività con vento, freddo e umidità perdono l’articolazione dei muscoli facciali
  • la vastità del cash-only
    i negozi totalmente o parzialmente “cash only” non sono pochissimi, visto che parliamo di una importante capitale europea. Per utilizzare paragoni recenti, città decisamente meno grandi e famose come Sofia o Brno sono messe largamente meglio. Diciamo che stupisce, in particolare, leggere questa indicazione anche nelle vetrine di alcuni negozi di rilievo e in pienissimo centro.

    Fa un po’ sorridere, questa Vienna anti-capitale che fa una commercialissima offerta a commercialissimi turisti
  • l’altalenante simpatia
    L’espansività tricolore, lo sappiamo, può arrivare nella sua genuinità a risultare perfino fastidiosa e invasiva, ok. Non è però praticando comportamenti raggelanti che si arriverà a relazioni equilibrate tra gli esseri umani, ecco. Il grosso dei ristoranti e locali applica una sequenza dimmi-che-ti-serve-ecco-qui-paga-vai, lasciandosi scappare un sorriso se proprio non se ne può fare a meno.
    C’è una componente tradizionale e culturale che non va nemmeno dibattuta e che vale quanto la nostra, ma l’adozione di un approccio diverso da “ ‘zzo vuoi?” quando si ha a che fare con persone che pagano per un servizio sembrerebbe altrettanto fuori discussione.

    Conforta vedere che le esperienze di comunicazione migliori le abbiamo avute coi più giovani
  • servizio sul conto del ristorante, io e te dobbiamo parlare
    è vero che esiste nei ristoranti di tante città del mondo, ed è vero che non dobbiamo fare i provinciali, MA:
    • una voce di conto per il servizio, obbligato a percentuale, significa che lo stipendio al personale di sala lo stiamo pagando noi (com’è normale), ma a parte rispetto ai piatti, sui quali perciò il costo del personale non dovrebbe ricadere. Molti di quei piatti allora diventano cari già per questo
    • un servizio non obbligato, ma richiesto con una finta domanda è una contraddizione, perché l’aggiunta dipende dalla qualità del servizio ricevuto, e quindi dovrebbe poter valere anche zero se il cliente non si ritiene soddisfatto

Indi?

A chiudere: Vienna è bella, in molti luoghi bellissima. Purtroppo in centro soffre di una malattia comune ai luoghi più visitati di tutta Europa, ma basta fare cento metri in altra direzione e tutto cambia, quindi c’è tanto da vedere. Superate la freddezza di molti dei suoi abitanti e vi godrete un luogo d’arte, architettura e futuri urbani possibili come non ce ne sono moltissimi. Aspettatevi di spendere un po’ più del desiderato ma nulla di drammatico.

Insomma, non è che sia proprio la scoperta del nuovo mondo scriver qui cose belle di una delle città più note e visitate al mondo, ma Dateme retta e andate tranquilli!

Guida naif alle Vacanze Toscane: Relax tra Chiusi, Cortona e Perugia

(ultima visita: luglio 2023)

Per gli autori di questo blog le vacanze 2023 sono state anche una settimana trascorsa per tre giorni a ridosso di Cortona e per altri quattro a ridosso di Perugia. Tutte giornate costruite per essere riposanti e con ritmi non forzati, quindi senza una cascata interminabile di eventi e luoghi, ma anche caratterizzate da una classica abitudine umana: qualcosa bisogna pur mangiare. E bere.

Sicché…

Giorno 1: Chiusi, Castiglion Fiorentino

La partenza di Sabato da Roma in orario decoroso ci ha consentito di arrivare con un certo anticipo verso Chiusi, per cui… che fai, non esci a Chiusi? Ed eccoci in questo paese che, come altri che visiteremo nei giorni successivi, quest’anno ha un numero di turisti bassino. È sabato, metà mattina, bel tempo, un po’ caldo ma ad un livello sostenibile, eppure noi forestieri a passeggio saremo sì e no una ventina.

La prima sosta è stata per il caffè in un bar che sforna pure pane e pizza sulla piazzetta del Comune.
Vocazione turistica del suddetto bar:
– Presenza su google maps: no
– Presenze nel locale: avventori autoctoni più noi

Piacevole.

Qualche centinaio di metri a spasso e si assaggia la locale focaccia con uvetta in un piccolo panificio. Buona nel sapore, compatta come abbiam visto e vedremo per altre focacce di zona.
Vocazione turistica del suddetto panificio:
– Presenza su google maps: no
– Presenze nel locale: noi

Visita alla Chiesa di Santa Maria Novella ed ecco che arriva il pranzo, e qui le cose si son fatte serie. La scelta è andata su Il grillo è buoncantore (già assaggiato anni prima). Tanta qualità, atmosfera rilassata, cura per il lavoro e chiacchiere coi titolari grazie a (o per colpa di, a seconda dei punti di vista) una giornata poco movimentata.

Si riparte per la destinazione programmata, ma voi se andate a Chiusi non fate come noi che avevamo due ore: ammirate quel che c’è, cioè perlomeno due musei. A noi chiaramente è rimasta in testa quest’ambientazione un po’ vuota e silenziosa, ma siamo sicuri (anche per altri passaggi in loco nitidi nei ricordi) che le cose non vadano sempre così.

Arrivo nelle vicinanze di Cortona. Il luogo prescelto è stato la Locanda del Molino.
Ci si sta un gran bene, racchiusi tra un piccolo torrente e la strada provinciale, in un edificio in pietra che ha le camere al piano di sopra e il ristorante al piano di sotto. Il narratore d’esperienza avrebbe qui argomenti e dettagli con cui produrre in affabile eleganza ogni descrizione di dettagli nelle sale, nei corridoi col cotto in terra, nelle… Ma qui funzioniamo talvolta diversamente, sicché trattenete questo: è proprio una locanda, semplice e bella. Avrete questa sensazione e sarà bello viversela così.
C’è anche una piscina, con dimensioni e ambientazione perfette per restare nel mood.

Ci si sistema e via verso Castiglion Fiorentino.

Siamo in un paese che, a parte i momenti di festa organizzata, sembra vivere ad una “distanza turistica” da Cortona molto più elevata dei pochi km che le separano: c’è una vitalità tranquilla, manca fortunatamente l’hype modaiolo del negozietto artificioso a tema o la sovrabbondanza di cibo e spritz a caso.

Da vedere: il paese di per sé che è già bellino, la piazza del municipio per la sua bella forma, l’ariosità e il suo magnifico affaccio, la Pinacoteca Comunale, che ospita anche Bartolomeo Della Gatta, e l’area del cassero, anche questa con una vista notevole.
Per mangiare qualcosina e bere cose buone c’è Traversa del gusto.

Giorno 2: Cortona

Bella colazione, ascoltando il suono lento e sussurrato del torrente, e si va a Cortona!

Parcheggiare è già esperienza a sé: Cortona è il punto di concentrazione turistica massima in una zona che, per il resto, ha grande tranquillità, sicché bisogna arrivare non troppo a ridosso del pranzo. Riuscire a trovare posto nei parcheggi più vicini al centro è importante non tanto perché il cammino restante sarà in salita senza marciapiedi, ma perché, come abbiamo avuto modo di notare, la modernità dei suddetti piccoli parcheggi, posti lungo i tornanti, decresce in armonia con l’altitudine:

  • i più mattinieri potranno comodamente pagare con app
  • la seconda ondata dovrà dotarsi di pazienza perché non tutte le postazioni di pagamento accettano carte
  • i ritardatari dovranno dotarsi di monete
  • non abbiamo visto più giù, ma i dormiglioni professionisti credo avranno necessità di portarsi da casa oggetti in disuso per ricavarne qualcosa al baratto

Come al solito la storia di Cortona andate a leggerla da quelli bravi. Qui vi diciamo cos’è che abbiam fatto noi (spoiler: tanta bellezza):

  • Al MAEC si va spesso per mostre temporanee, ma al di là di queste trovate Signorelli, numerosi oggetti e rinvenimenti etruschi, Severini, una biblioteca settecentesca… insomma, c’è da andare anche senza mostre
  • Ancora Signorelli, come pure il Beato Angelico e altri, li trovate al Museo Diocesano del Capitolo
  • Le chiese: belle, ma perlopiù rimaneggiate, ristrutturate, ricostruite eccetera
  • Ma mangiare e bere? Veramente veramente ci stiamo dimenticando? No, non si scherza su queste cose: Taverna Pane e Vino, su una delle due piazze in cui passerete senza dubbio. Si mangia bene, si sta in un bel posto, si beve in modo divertente

Nel primo pomeriggio addomestichiamo la fase digestiva lungo le molte location ben diffuse della rassegna fotografica estiva Cortona on the move *interessante e fascinosa la scelta dei luoghi espositiv, qualità diciamo non uniforme( e con calma torniamo alla tana: in Locanda si mangia anche, dicevamo, e si mangia bene, sempre col ruscello a far compagnia se si sceglie si star fuori. Anche sul vino si va alla grande, visto che la proprietà è la stessa della cantina Baracchi. L’atmosfera è piacevolmente toscana nel senso più pieno e, direi, vero (i toscani non hanno solo “devastato questo paese” come il grandissimo Stanis LaRochelle denunciava).

Giorno 3: Castiglione del Lago

Castiglione del Lago è un borgo molto grazioso con un… castiglione… che diventa propaggine del borgo dentro l’acqua e praticamente sembra… del lago. Tutto questo spiega molte cose ai più scaltri.
Saimo già stati in questi luoghi varie volte in passato, quindi possiamo permetterci di saltare ad esempio la visita al castello di cui sopra e passeggiarci un po’ intorno.

Il grande ed umido caldo non ha aiutato moltissimo, diciamo, e i numerosi nordici che per quel caldo giravano in stato di pre-morte non aiutavano a distrarsi.
In sintesi gli aiuti sono mancati.
A compensare, buon pranzo anche panoramico (chiedete un tavolo nel giardino) a La Cantina, con ottima anguilla all’amatriciana.

All’amatriciana.

Romani, non fate quella faccia perché vi si vede pure da qui.

Pillola di cultura del giorno: rientrati alla locanda, chiacchierando in piscina con un distributore, scopro che in toscana si fa Gin come se non ci fosse un domani. C’è abbondanza di ginepro e ok, ma la gente si regala i gin come i mazzi di rose. Bon.

Giorno 4: Corciano

Salutiamo la Locanda, in cui siamo stati davvero bene (saluti a Stefano!) e, lungo la strada per Perugia, ci fermiamo a Corciano, perché non la conosciamo e perché ci sono una pala del Perugino e un gonfalone di Bonfigli.

Il paese, la pala e il gonfalone confermano la loro bellezza alla vista. Passeggiare qui è un turismo tranquillo, coi passanti che ti salutano e le piccole vie che mantengono un carattere senza tempo.
Si pranza un po’ fuori dal centro a L’utopia, buonissimo ristorantino e bella storia di una coppia (i titolari) che vuole credere ai sogni cercati e faticati.
Ci ambientiamo nel comodo e anch’esso piscinoso Hotel Vega, nelle vicinanze di Perugia, e poi andiamo a conoscere un po’ gli scarni dintorni, finendo però benone a mangiare alla vineria La Fraschetta, rilassante e gustosa.

Giorno 5: Perugia

Arrivando a Perugia da Est ci sono buone possibilità, perlomeno in estate, di trovare parcheggio lungo la lunga lunghezza di via Roma, nel nostro caso a ridosso dei Giardini del Frontone. Se volete fare una passeggiatina nel verde entrateci, altrimenti mollate comunque il viale e godetevi Borgo Bello, alias Corso Cavour, e traversine varie col loro fluire di botteghe, bar, ritrovi culturali, … Ne riparliamo più sotto.

Proseguendo fino alla Chiesa di Sant’Ercolano si sale in centro -se non ci siete mai stati dovete rimediare quanto prima- ed è subito GNU, la Galleria Nazionale dell’Umbria, che per un appassionato vero richiede giorni interi di visita. La scelta di esporre per epoche a crescere è appassionante e a modesto avviso di chi scrive funziona benissimo.

Per il pranzo c’è stato, e speriamo ci sia ancora, uno di quei pochi posti che fanno il poke senza imbellettamenti finto-hawaiani e, con tabelle nutrizionali a parete ma senza alcuna pesantezza, invitano a comporre coscienziosamente il pasto. Si chiama Postogiusto e ci si trovano anche panini simpatici e qualche birra artigianale locale. Carino assai, anche per la posizione in piena vitalità perugina.

Giorno 6: Bevagna… e Perugia, a chiudere in gloria

Già arrivare a Bevagna è un bel guardare lungo il tragitto, perché molta della campagna umbra è proprio bella e anche molte zone antropizzate non lo sono in modo invasivo, arrivando agli occhi come un paesaggio morbido e, in fondo, rassicurante.
Il paesino è molto godibile nella sua semplicità, con le vie principali, la piazza, la chiesa e i negozietti a mettere assieme in poche centinaia di metri tanti motivi per cui l’Italia è uno splendore costante con poche brusche interruzioni.

Si pranza a Le Barbatelle, minuscolo wine bar molto carino in cui il menu corto e delizioso accompagna belle bottiglie, tra cui molte artigianali.

Ripartendo da Bevagna si va in chiusura di vacanza lungo un festoso crescendo enoico:

  • nel pomeriggio si fa visita a due realtà locali del vino parecchio diverse per tipologia, produzione e mercato:
    • Colsanto è una delle proprietà di Livon; gli studiati del vino sanno che si parla di un’azienda dai numeri grandini.
      Architettura resa intenzionalmente semplice ma cercata, di dettaglio, raffinata dal locale di degustazione alla zona in cui sono state ricavate 5 camere eleganti.
      Vini assaggiati ovviamente buoni, ma con un’intenzione anche di mercato chiarissima. Va bene così, ché in questo simpatico blog la diatriba naturali-convenzionali non è ritenuta appassionante e ciascuno può andare serenamente a gusto personale, tanto quel che fa male nel vino è l’alcol
    • Di Filippo non è sul versdante dei naturali ma produce comunque in biologico.
      Le due cantine sono a pochi minuti di distanza (come molte altre) e secondo noi assaggiare nello stesso giorno due idee differenti di vino è un valore. Sta di fatto che i vini li abbiam comprati qui
    • Stavolta non ci siamo passati, ma sulla strada tra le due soste fatte c’è anche Tenuta Castelbuono. Vi sarà subito chiara la collocazione di questa cantina tra le due categorie espresse sopra. Non perdetevi degustazione, visita e, se siete astemi ma vi han fatto entrare lo stesso in zona Montefalco, anche la sola vista del Carapace!
  • in serata, dove incontrare amici storici bellissimi di Perugia se non in un posto bellissimo? Si torna a Borgo Bello, da Sara Boriosi e Giovanni Corazzol, che insieme gestiscono il fantastico Venti Vino.
    Sì, è un’enoteca con un po’ di cose da mangiare in accompagnamento, e sì, c’è tanta tanta attenzione e cura per far uscir fuori dal bancone cose cercate e mai casuali, ma se non fosse per queste bellissime ragioni sembrerebbe comunque un locale nato per far star bene le persone che lo raggiungono, che ci si incontrano o che ci passano anche solo davanti con la curiosità di osservare

Godetevi una vacxanza in queste zone, dateme retta!